 Sono passati alcuni giorni dalla nostra decisione di dimetterci dall’esecutivo provinciale del Pd del Verbano Cusio Ossola, e riteniamo di dover fissare alcuni punti politici che da un lato caratterizzino la nostra decisione  e dall’altro la configurino come un contributo alla crescita e al radicamento del partito.
 Sono passati alcuni giorni dalla nostra decisione di dimetterci dall’esecutivo provinciale del Pd del Verbano Cusio Ossola, e riteniamo di dover fissare alcuni punti politici che da un lato caratterizzino la nostra decisione  e dall’altro la configurino come un contributo alla crescita e al radicamento del partito.
1-    Crisi della destra, afasia del Pd
Stiamo vivendo il momento di maggior crisi del centro destra italiano degli ultimi quindici anni. La rottura, ormai sempre più evidente e destinata a sfociare a breve, tra Silvio Berlusconi e Gianfranco
Fini non è una impuntatura personale o un capriccio tra persone. E’ la traiettoria finale di uno scontro tra due visioni alternative di come costruire il partito della destra conservatrice italiana, tra un modello populista e oligarchico e un’ idea che conserva un proprio ancoraggio al concetto della democrazia rappresentativa. (segue)l tutto mentre sullo sfondo di un governo incapace di progettare il  futuro e di far imboccare al paese un modello di crescita e di sviluppo  prendono corpo le peggiori espressioni di una fase politica nella sua  fase finale e decadente: corruzioni, consorterie, intrighi di palazzo e  giochi di potere, che arrivano a lambire le stesse autorità di garanzia  della Repubblica e minano profondamente la credibilità delle istituzioni  agli occhi dei cittadini.
Se ci spostiamo sul piano regionale, la vicenda clamorosa dei ricorsi  elettorali e delle pronunce delle magistrature amministrative ci  consegnano una destra che, dopo aver declamato nelle piazze la sua  immagine di novità e di cambiamento, si è poggiato sul piedistallo delle  firme false e delle liste farlocche, come il gigante con i piedi  d’argilla del sogno biblico di Nabucodonosor interpretato da Daniele.
Il “partito del predellino” muore nello scontro finale tra i due  co-fondatori, mentre il governo di destra porta il Paese su livelli di  declino economico ed etico mai toccati nell’intera storia repubblicana.
E se scivoliamo ancora di più nel locale, e andiamo a constatare  l’effetto di governo della destra ad un anno dalle elezioni  amministrative del giugno del 2009, ci accorgiamo che nella migliore  delle ipotesi si segna il passo (vedi l’amministrazione provinciale) e  nella situazione più declamata e sbandierata (il Comune di Verbania) si  imbocca una clamorosa retro marcia con la diminuzione dei servizi, lo  stallo degli investimenti e la telenovela del teatro che si preannuncia  gravida di puntate sterili per l’intera legislatura. Il tutto mentre  incombe l’ombra sempre più concreta di un radicale taglio sui servizi  sociali, di una rinnovata tensione nel mondo della sanità che farà  riesplodere sopite tensioni territoriali, di un futuro stesso  dell’autonomia provinciale affidata ad un riassetto dei poteri locali  nei quali Novara (dall’acqua, ai rifiuti, alla sanità) sta acquistando  un ruolo preponderante che presto si trasformerà in tentativo di  eliminazione della sovranità del Verbano Cusio Ossola. Tutto questo  mentre la crisi economico-produttiva più stressante degli ultimi  trent’anni mette sotto scacco il tradizionale modello di sviluppo del  VCO, e i suoi ceti più poveri, senza che arrivi dalla destra un  autentico modello alternativo che non sia il ricorso alla spesa  pubblica, in piena contraddizione con le prediche tremontiane e il  modello reaganiano che Berlusconi di quando in quando ci propina.
Stiamo registrando il sostanziale fallimento dell’esperienza di governo  della destra che cristallizza un’Italia sempre più povera e sempre meno  competitiva in cui si chiudono gli spazi delle opportunità e delle  speranze e in cui il ceto medio scivola sempre più verso la povertà, in  cui l’antica divisione fatta da Glotz della società dei due terzi di  abbienti e di un terzo di esclusi si va trasformando nella società dove  un terzo possiede ed ha il benessere e due terzi sono esclusi, diventano  outsiders da abbandonare a sé stessi e al conservatorismo  compassionevole.
Eppure…. Eppure dentro questo scenario non emerge –a Roma, a Torino e  nel VCO- un’alternativa politica nettamente percepibile dai cittadini,  sui quali far confluire i consensi dei delusi e costruire un processo di  modernizzazione del Paese nel quale sviluppo economico e allargamento  della sfera delle opportunità marcino insieme.
l’afasia è diventato il tratto caratterizzante del Partito Democratico, e  dietro  questa condizione si affastellano i populismi destrorsi di Di  Pietro e quelli sinistrorsi di Vendola, uniti da un unico comune  denominatore: fare a brandelli la scommessa dei Democratici, per  spartirsi le spoglie elettorali e politiche del riformismo italiano e  condurre l’alternativa al berlusconismo verso lidi fatti di un impasto  tra un leaderismo alla Chavez e uno alla Masaniello.
Oggi il vero rischio, la vera partita politica dei tempi che viviamo e  di quelli che vivremo,  è il tentativo che è in atto di trasformazione  del modello di democrazia da rappresentativa ad oligarchica, in cui il  reale controllo dei governi non è del cittadino ma degli ottimati  inseriti nel sistema.
Per noi il meglio della stessa democrazia consiste nella possibilità dei  cittadini di esprimere la rappresentanza politica, attraverso  periodiche elezioni,  in un sistema istituzionale fatto di pesi e  contrappesi, di poteri e di limiti. Come ci insegnava Tocqueville nella  “Democrazia in America”. Un sistema liberale, insomma.
Mentre oggi sul campo –a destra come a sinistra- ci sono opzioni nelle  quali si vuole affidare al leaderismo e al populismo il compito  messianico di traghettarci oltre il mar Rosso, verso la terra promessa  dove scorre il latte e il miele ma dove in realtà la democrazia  rappresentativa involve verso la democrazia della subordinazione.
Oligarchie economiche, dominio della finanza e dell’industria sui mass  media e sulla comunicazione e aumento delle disuguaglianze sono tutte  facce di un unico prisma, nel quale i big players economico-finanziari  stanno svuotando la democrazia dall’interno, e nel quale lo “spettro”  che si aggira per il mondo non è quello evocato da Marx nel 1848 ma è il  controllo totale della grande finanza sulle dinamiche politiche.
Su questo, e sui suoi effetti fino all’ultimo anello periferico d’Italia, noi facciamo silenzio.
Questo silenzio viene percepito dai cittadini, che guardano altrove,  mentre al nostro interno, avendo interrotto l’elaborazione culturale che  traghettò le culture storiche del riformismo italiano dalla Prima  Repubblica fino al PD, discutiamo di cose surreali e totalmente  autorefenziali. Cose da ceto politico e da burocrazie di partito:  primarie, tesseramento, regole (possibilmente da applicare sempre agli  altri e mai iniziando da se stessi). E la politica?
2 – La torre eburnea del VCO
Gli effetti di questa afasia si scontano in particolare nel Verbano  Cusio Ossola, dove il partito è ormai chiuso in una torre eburnea. Un  luogo  nel quale al faticoso lavoro di analisi della società, delle sue  dinamiche e delle sue esigenze, si preferisce il tranquillo e  consolatorio rito del partito tradizionale.
Poco importa se fuori dalle porte della sezione il mondo va per conto  suo. E’ scattata la dinamica che trova in una corteccia rettile a metà  strada tra la concezione leninista (“l’unico programma politico:  prendere il potere”) e quella togliattiana (flessibilità tattica,  integrità ideologica) la sua giustificazione.
Una concezione nella quale il Partito, e il suo ufficio politico (quello  che in russo si dice “politbjuro”), dà la “linea”, alla quale si  uniformano le organizzazioni periferiche del partito secondo una logica  piramidale e gerarchica.
Sarebbero troppi gli esempi da citare che in tal senso si sono  susseguiti nel Pd del VCO in questi ultimi mesi, e vogliamo mantenere la  nostra riflessione sul piano dell’analisi politica e non farla  degradare sulle polemiche da cortile o sui pettegolezzi da ballatoio  come troppe volte è finito il nostro dibattito interno.
Ma un esempio valga per tutti: l’atteggiamento tenuto sul tema  dell’acqua. Il Partito “convoca” gli amministratori per ratificare un  verbale già scritto e redatto da parte del solerte responsabile (che nel  merito ripropone tesi ormai superate dalla realtà, come se Berlinguer  negli anni ’70 avesse riproposto il frontismo in luogo della solidarietà  nazionale), e poi –senza una discussione che parte dal basso, che  coinvolge e si prende i luoghi e i tempi di una discussione impegnativa e  condivisa- dirama “la linea” (letteralmente definita cosi’!!!) ai  circoli e ai componenti dell’assemblea provinciale! Era una modalità che  a fatica funzionava negli anni ’50, e che oggi è completamente al di  fuori della realtà e della storia. Ma evidentemente è la comoda placenta  nella quale si albergano le tetragone certezze di chi preferisce  barricarsi nella cittadella piuttosto che affrontare l’ignoto fuori  dalle mura della fortezza, nella illusoria speranza che così presto il  mondo fuori dalla porta tornerà ad essere quello che era un tempo.
I sintomi di questa azione sono tutti visibili a chi ha gli occhi per  vederli: il tesseramento langue, l’iniziativa politica del partito non è  percepita dall’opinione pubblica, i circoli sono abbandonati a se  stessi e chi pone questi argomenti viene circoscritto al rango di  disturbatore di turno. A quando anche l’istituzione della Commissione  Centrale di Controllo per la decisione sulla correttezza ideologica  delle posizioni dei singoli?
La discussione interna, non più finalizzata alla costruzione di una  piattaforma politica (neanche un documento discusso e votato in questi  mesi) scivola sempre più verso forme di personalismo, di rivendicazione  sterile, di volontà di potere dei singoli. In cui la politica muore.
3 – Rilancio, non fuga
Noi –insieme a tanti altri- abbiamo fondato il Partito Democratico. Nel  VCO, e anche in Piemonte e in Italia. Gli vogliamo bene e  guardiamo a  lui come la speranza per il domani dei nostri figli. Un domani più  giusto e più bello. Crediamo che il partito sia lo strumento con il  quale anche gli esclusi dal sistema delle opportunità e delle garanzie  possano incidere sul proprio futuro e sul proprio destino.
Non possiamo accettare silenti che questo Partito evapori tra il  nostalgismo e i furori novisti che nel predicare un rinnovamento senza  alcuna base culturale rievocano in realtà il modello di Robespierre.
Proprio perché vogliamo bene al Partito Democratico  abbiamo rassegnato  le nostre dimissioni dagli organi politici provinciali. Per aprire una  discussione, un dibattito e una larga riflessione sul futuro del Pd, in  questa Italia che ha bisogno di un’alternativa vera, popolare e  democratica alla situazione stagnante che vive.
In politica le cose non si ottengono con la declamazione, ma con la  riflessione a cui segue l’azione. Il resto sono cose per filosofi, se  sono alte, o per demagoghi, se sono basse.
Non ci interessano entrambe le categorie.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero. Non ci siamo lasciati alle  spalle le vecchie navi, bruciandole definitivamente sulla spiaggia per  non avere neppure più la tentazione del ritorno ad una patria che non  c’è più, per assistere alla regressione in atto.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, che parta dal basso, dal  coinvolgimento e dall’ascolto per mettere in campo azioni modernizzatici  e innovative. Un progetto chiaro e percepibile, perché l’opposizione  non si fa dicendo solo dei “no” o facendo il controcanto ideologico e  forzato, ma praticando sul campo una idea alternativa che venga  percepita come credibile dalla gente, dai cittadini, dagli elettori.
Così torneremo a vincere. Altrimenti la strada delle prossime  amministrative (a cominciare da Domodossola) e delle prossime tornate  elettorali è già segnata.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, nel quale tutte le culture  politiche vengano rispettate e facciano un passo in avanti, e nel quale  quando si pongono problemi politici (è o non è oggi un problema politico  quanto sta avvenendo nel moderatismo italiano con la crisi del  berlusconismo e di come il Pd si rapporta ad esso?) non si venga  derubricati da qualche consueto maitre a penser locale come “patetici”. E  nel quale chi ha incarichi –anche elevati- di responsabilità politica  non si ammali di ponziopilatismo, ma abbia il gusto della guida e  dell’assunzione delle responsabilità che competono alle leadership.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, nel  quale ci si possa  confrontare su tutti gli argomenti, e che sia un luogo in cui chi ha  delle idee possa essere messo alla prova e giudicato per quello che fa,  per quello che ha fatto e per quello che è in grado di fare.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, che al piccolo cabotaggio  sostituisca il coraggio. E –perché no- anche il sogno che un’altra  Italia, un altro Piemonte, un altro VCO è possibile.
Il motivo delle nostre dimissioni è tutto qui: il rilancio di un  progetto e di un’idea, e non la fuga. Lo facciamo con la speranza che  siano in tanti a condividere questa prospettiva, e che il dibattito  congressuale che è alle porte sia l’occasione per una crescita comune  condivisa.
Altro non ci interessa.
30 luglio 2010
Enrico Borghi – Rosa Rita Varallo – Stefano Costa