“Caso” Barassi: basta con le speculazioni

Il Gruppo Consiliare del Partito Democratico si è riunito alla presenza del Coordinatore cittadino e del Sindaco nella giornata di ieri, per esaminare gli sviluppi della situazione politica cittadina alla luce degli ultimi eventi che hanno interessato il vicesindaco Marino Barassi, destinatario di un avviso di garanzia che intende verificare l’eventuale navigazione internet con il telefono in dotazione in siti “non istituzionali”.
Nel ricordare che l’avviso di garanzia costituisce una forma di tutela del cittadino all’inizio di un’indagine che lo coinvolge, il Pd auspica un sereno e rapido lavoro da parte della magistratura e sottolinea come le anomalie di bollettazione riscontrate sull’utenza telefonica del vicesindaco siano state individuate a seguito di una verifica periodica – mirata al contenimento dei costi – disposta dal sindaco sulle diverse utenze comunali e siano state oggetto di denuncia proprio per iniziativa del vicesindaco.
Il Pd esprime un giudizio severo sui reiterati tentativi di speculazione politica messi in atto in queste settimane da numerose forze politiche, senza rispetto per la dignità e l’onorabilità delle persone che svolgono la funzione di pubblico amministratore nell’interesse della città. Il Pd auspica che il confronto politico torni ad avere al centro i reali problemi dei cittadini di Verbania.
Il Pd ribadisce che ogni decisione sugli incarichi conferiti in forza delle competenze istituzionali previste dalla normativa debba essere eventualmente assunta – proprio per il rispetto delle distinzione tra responsabilità politiche e responsabilità amministrative – dal Sindaco, nell’interesse esclusivo dell’amministrazione cittadina e del buon funzionamento degli uffici e dei servizi e sulla base degli elementi di valutazione e di giudizio acquisiti nell’esercizio delle facoltà e dei compiti che gli sono assegnati dalla legge.
Partito Democratico  – Gruppo Consiliare – Circolo di Verbania

Programmi Territoriali Integrati: la Regione finanzia con 6 milioni di euro il VCO

image Lunedì scorso la Giunta Regionale del Piemonte ha approvato la graduatoria relativa ai programmi territoriali integrati per gli anni 2006 – 2007 .
È una delibera importante perchéil bando per la presentazione dei programmi territoriali integrati, emesso dalla Giunta Regionale, aveva lo scopo di chiamare i diversi sistemi territoriali a ragionare su quali fossero gli elementi su cui costruire il proprio futuro economico.
Ciò è ancora più importante oggi quando in ogni realtà territoriale la crisi economica si concretizza quotidianamente in perdita di posti di lavoro ed in diminuzione di ricchezza territoriale.
Salutiamo positivamente che il PIT, presentato in modo unitario per tutta la provincia dal Comune di Verbania e da tutte le comunità montane, è stato classificato nella prima fascia nella quale sono collocati tutti i progetti che hanno ottenuto un punteggio superiore a 65.
Siamo al quinto posto in tutto il Piemonte e ciò significa che questi cinque progetti sono stati immediatamente finanziati con un intervento regionale di 6 milioni di Euro .
È stata una scelta giusta quella di costruire un unico grande progetto per tutta la provincia ed è stata fatta una lettura corretta della nostra realtà territoriale individuando, in modo intelligente, gli interventi capaci di aiutare lo sviluppo economico del nostro territorio.
Aldo Reschigna, Marco Travaglini consiglieri regionali PD

Giovedì20 novembre, un incontro per il rilancio del Cusio

image Occupazione e sviluppo nel Cusio e nel Vco.
La gravita’ della crisi economica che ha colpito duramente il Cusio e l’intero Vco deve vedere il massimo di sinergia tra le forze politiche economiche e sociali per proporre soluzioni che ci portino fuori dalla crisi.
Per questo e’ importante sentire il parere di imprenditori, lavoratori, operatori economici in senso lato, enti locali ed enti pubblici economici per comprendere e valutare meglio le prospettive che si stanno disegnando per il nostro futuro di comunita’.
A tale scopo il coordinamento dei gruppi consigliari e dei movimenti per il rilancio del cusio e del vco annuncia per la giornata di giovedi 20 novembre 2008 alle ore 21 presso la saletta del forum ad Omegna, un incontro con le forze politiche economiche e sociali allo scopo di costituire un comitato permanente in grado di stimolare tutte le azioni utili al rilancio economico del cusio e del vco.

Se i giudici si danno l’aumento da soli: grazie ad un emendamento del senatore PDL Zanetta.

image Riportiamo un articolo di oggi, (cliccate qui per visualizzarlo) pubblicato dal Corriere della Sera a firma di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (gli autori del libro sulla "casta" per capirci) dove parlano di un "interessante" emandamento firmato anche dal nostro parlamentare locale del PDL Valter Zanetta, dove "vengono abolite le norme introdotte nell’ultima finanziaria del governo Prodi che vietavano alle pubbliche amministrazioni, senza eccezioni, di stipulare contratti contenenti la clausola del ricorso all’arbitrato in caso di disaccordo. Pena, l’intervento della Corte dei conti e pesanti sanzioni".
Il caso degli arbitrati: un emendamento del Pdl fa tornare la «giustizia parallela» dove lo Stato perde
Più «amanti» per tutti. Ricordate come il giudice Aldo Quartulli definì gli arbitrati, che consentono ai magistrati amministrativi di guadagnare soldi extra? «Le sentenze sono la moglie, gli incarichi l’amante». Bene: dopo essere stati più volte aboliti e ripristinati, stanno per tornare alla grande. Grazie a un emendamento che andrà in discussione proprio martedì. Il cuore dell’emendamento, firmato da tre senatori del Pdl, Massimo Baldini, Valter Zanetta e Luigi Grillo (il presidente della commissione Lavori pubblici del Senato rinviato a giudizio per concorso in aggiotaggio per i suoi rapporti con Giampiero Fiorani) è racchiuso in una sola riga: «Sono abrogati i commi 19, 20, 21 e 22 dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244». Arabo, per i non addetti ai lavori. Ma l’obiettivo è chiaro: vengono abolite le norme introdotte nell’ultima finanziaria del governo Prodi che vietavano alle pubbliche amministrazioni, senza eccezioni, di stipulare contratti contenenti la clausola del ricorso all’arbitrato in caso di disaccordo. Pena, l’intervento della Corte dei conti e pesanti sanzioni.
Riassumiamo? Gli arbitrati (aboliti dal governo Ciampi, ripristinati da Berlusconi, ri-aboliti da Dini e via così…) sono una specie di corsia preferenziale parallela alle cause civili. Se l’ente pubblico che ha commissionato un lavoro e chi quel lavoro lo ha eseguito vanno a litigare sui soldi, possono chiedere che a stabilire le ragioni e i torti non sia la lentissima giustizia civile ma una specie di giurì. Un arbitro lo nomina un litigante, uno quell’altro e i due insieme nominano il presidente. Niente di male, apparentemente. Se non fosse per due nodi. Primo: gli «arbitri» sono spesso giudici chiamati a decidere «privatamente » su cose che a volte toccano lo stesso Comune, la stessa Provincia, la stessa Regione o lo stesso Ministero su cui possono essere delegati a decidere nelle vesti di membri dei Tar o del Consiglio di Stato. Secondo nodo: stando ai dati del presidente dell’Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici Luigi Giampaolino, lo Stato (guarda coincidenza…) perde sempre. O quasi sempre: in 279 arbitrati in due anni tra il luglio 2005 e il giugno 2007, ha vinto appena 15 volte. Sconfitto nel 94,6% dei casi, ha dovuto pagare alle imprese private 715 milioni di euro. Pari al costo del Passante di Mestre.

Va da sé che, oltre ai privati, hanno esultato gli arbitri. Che si sono messi in tasca, euro più euro meno, una cinquantina di milioni. Una cosa «indecorosa», diceva un tempo Franco Frattini invocando «l’incompatibilità totale fra lavoro istituzionale dei giudici e altri incarichi ». «Inaccettabile», concorda il Csm che da anni non consente ai giudici civili e penali di accettare arbitrati. «Indecente», insiste Antonio Di Pietro, che più di tutti ha spinto, da ministro delle Infrastrutture, per mettere fine all’andazzo. Macché: di proroga in proroga, è rimasto tutto come prima. E il divieto assoluto di ricorrere all’arbitrato non è mai entrato, di fatto, in vigore. Peggio: l’emendamento Grillo- Baldini-Zanetta non si limita a ripristinare gli arbitrati. Va oltre. E stabilisce una specie di percorso automatico: o l’ente pubblico e l’impresa privata che vanno in lite si accordano entro un mese oppure, senza più le procedure di prima, si va dritti alla composizione arbitrale. E dato che in questi casi lo Stato perde quasi sempre, va da sé che questo potrebbe spingere perfino le amministrazioni più riluttanti, per non subire oltre il danno la beffa di dover pagare avvocati e spese processuali, a rassegnarsi alla «proposta di accordo bonario». Cioè alle richieste delle imprese. Coscienti di spazzare via tre lustri di tentativi di moralizzazione avviati da Carlo Azeglio Ciampi, gli autori dell’emendamento hanno sciolto nella pozione uno zuccherino: il dimezzamento dei compensi minimi e massimi dovuti agli arbitri. Evviva! Fermi tutti: salvo la possibilità di aumentare del 25% le parcelle «in merito alla eccezionale complessità delle questioni trattate, alla specifiche competenze utilizzate e all’effettivo lavoro svolto». E chi decide l’aumento? Gli arbitri stessi.

Non bastasse, la sconcertante manovra per rilanciare gli arbitrati mai aboliti arriva nella scia di altri due episodi, diciamo così, controversi, che riguardano gli stessi magistrati amministrativi, da sempre cooptati a decine in questo e quel governo, di sinistra o di destra, come capi di gabinetto o responsabili degli uffici legislativi. Incarichi che ricoprono continuando a progredire nella carriera giudiziaria come fossero quotidianamente presenti e cumulando i due stipendi. Il primo è la decisione di spostare la definizione delle norme che dovrebbero regolare gli incarichi pubblici. Abolito il tetto massimo di 289 mila euro fissato da Prodi, tetto che arginava alcuni stipendi stratosferici, il governo si era impegnato a fissare le nuove regole entro il 31 ottobre. Macché: tutto rinviato. Nel frattempo non solo tutto resta come prima, ma alcune società pubbliche come il Poligrafico, la Fincantieri o l’Anas hanno rimosso dai loro siti l’elenco delle consulenze e il loro importo, vale a dire uno dei fiori all’occhiello rivendicato sia dal vecchio governo di sinistra sia da Renato Brunetta. Ma la seconda «eccentricità» è forse ancora più curiosa. Riguarda un concorso. Erano in palio 29 posti di «referendario» (traduzione: giudice) nei Tar.

Presidente della Commissione: Pasquale De Lise, «aggiunto» del Consiglio di Stato e autore di una celebre battuta sugli arbitrati suoi: «Il guadagno legittimo di qualche soldo». Partecipanti: 415 candidati. Ammessi agli orali, svoltisi in queste settimane: 30. E chi c’è, tra questi promossi? Una è Paola Palmarini, docente alla Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze di cui tempo fa era rettore il marito, Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto di Giulio Tremonti nonché membro del Consiglio di Presidenza, cioè dell’organo di autogoverno delegato a nominare le commissioni d’esame. Un’altra è Anna Corrado, moglie di Salvatore Mezzacapo, giudice dei Tar e lui stesso membro dell’organo di autogoverno che sceglie le commissioni. Il terzo è Enrico Mattei fratello del magistrato del Tar Fabio Mattei, ammesso agli orali (dopo essere stato inizialmente scartato), grazie a una sentenza del Tar Lombardia firmata da Pier Maria Piacentini, il quale non molto tempo prima aveva avuto dal già citato organo di autogoverno l’autorizzazione ad assumere un incarico molto ben remunerato «di studio e approfondimento dei problemi concernenti concessioni di valorizzazione dei beni demaniali». Incarico «conferito dal Direttore dell’Agenzia del Demanio ». Cioè dalle Finanze.

Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
17 novembre 2008