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MENO STAGE, PIÙ APPRENDISTATO. petizione Giovani Democratici

A questo link la petizione da firmare –> http://chng.it/d4kfz9JVqX

Cari Democratici,
portiamo alla vostra attenzione un tema particolarmente importante per le nuove generazioni: quello degli stage.
Lo Stage non è lavoro: è un contratto di formazione senza tutele e adeguato compenso, di cui abusano tante aziende, e che toglie stabilità e futuro lasciando i giovani per anni precari e senza orizzonti.
Serve meno stage e più apprendistato: un contratto di lavoro e formazione stabile, che comprende contributi, ferie, malattia, e una progressione lavorativa credibile.
Per questo crediamo in questa campagna, che vuole fare dell’apprendistato lo strumento principale di entrata nel mondo del lavoro rendendolo più efficace e semplice, limitando l’abuso dello stage.

“Siamo giovani, stagisti, lavoratori, disoccupati, e abbiamo due proposte:
1.   Basta agli stage gratuiti e senza tutele. Vogliamo una sola tipologia di stage, con un giusto rimborso spese obbligatorio. Vogliamo che lo stage non sia più abusato al posto di un vero contratto di lavoro, e per questo vogliamo che non sia più attivabile dopo tre mesi dalla laurea/diploma. Vogliamo trasparenza da parte di chi ci promette un vero lavoro ma poi ci scarica per assumere un altro stagista.
2.   Puntiamo sull’apprendistato. Meno burocrazia, formazione migliore, più flessibilità e incentivi per chi assume giovani lavoratori tramite questo contratto, che garantisce tutele, contributi e una retribuzione adeguata”.

A questo link trovate la petizione che vi chiediamo di firmare e diffondere attraverso i vostri canali –> http://chng.it/d4kfz9JVqX

Grazie, un abbraccio

Alessandro Pompeo
Segretario dei Giovani Democratici del VCO

ll Partito Democratico del VCO ha attivo un canale #Telegram utile per ricevere in tempo reale informazioni sulla nostra attività, incontri, proposte, ecc. Iscriversi è semplice. Basta un click e un numero di cellulare. Link diretto https://t.me/partitodemocraticoVCO

Delegazione dei deputati del PD alla Duferdofin Nucor di Pallanzeno

Venerdi una visita di una delegazione dei deputati del Partito Democratico alla Duferdofin Nucor di Pallanzeno. Quali effetti dei dazi di trump sull’acciaio?  il PD lo verifica in Ossola

Venerdi 18 maggio alle ore 10,30 una delegazione di parlamentari democratici guidata dalla vicepresidente del gruppo on. Chiara Gribaudo e dal segretario d’aula on. Enrico Borghi sarà presente in Ossola, per un confronto con il management e le maestranze della “Travi e Profilati di Pallanzeno S.r.l”, del gruppo Duferdofin-Nucor, stabilimento che vede 219 occupati che trasformano nel laminatoio 500.000 tonnellate/anno di acciaio.

Lo scorso 23 marzo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha introdotto dazi del 25% per l’acciaio e del 10% per l’alluminio. Sono misure di protezione commerciale che hanno l’obiettivo di dare seguito allo slogan elettorale del presidente Trump “Make America Great Again”, e che avranno effetti sul sistema del commercio internazionale tutto. Al tentativo di rendere grande l’America infatti corrisponde che gli altri paesi si facciano più piccoli, e questo pone molti problemi alla nostra economia.

La Cina, primo produttore mondiale di acciaio e alluminio, è il destinatario principale delle misure tariffarie imposte da Trump. Le misure protezionistiche al momento sono state sospese nei confronti dell’Unione europea e di altri paesi alleati degli Stati Uniti, in attesa di una decisione che Trump prenderà il primo giugno. Restano però gli effetti indiretti dei dazi contro la Cina, che potrebbe decidere come conseguenza della chiusura del mercato statunitense di spostare le proprie esportazioni verso l’Unione europea facendo concorrenza alla nostra produzione o immettendo sul mercato materie prime a basso costo ma più scadenti. Più in generale si teme il rischio di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione europea, della quale si è discusso anche nell’ultimo  Consiglio europeo  a Bruxelles.

Per l’Italia sono tutte brutte notizie. L’export è il settore più vitale della nostra economia, perché contribuisce a circa il 30% del nostro Pil e ha continuato a crescere in questi anni più di qualsiasi altro settore (nel 2017 la crescita è stata del 7,4%). Se l’America chiude le porte del commercio, l’Italia non può che risentirne.

Il nostro paese beneficia molto dei rapporti commerciali con gli Usa: nel 2017, con 40,5 miliardi di fatturato, l’Italia si è piazzata all’ottavo posto dei paesi da cui provengono le importazioni degli Stati Uniti. Per quanto riguarda il settore siderurgico, le aziende italiane specializzate nella produzione di acciaio e alluminio esportano complessivamente verso gli Stati Uniti 470 mila tonnellate d’acciaio l’anno per un valore di circa 653 milioni di euro. Le aziende del comparto siderurgico sono concentrate soprattutto in Friuli, Lombardia, Liguria, Umbria, Veneto, ma gli effetti riguarderanno tutte le aziende che lavorano metalli e prodotti derivati dal metallo (industria automobilistica, macchinari, arredamento).

Un pezzo della politica italiana sembra però non fare caso a questi dati di fatto. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono affascinati dalle parole d’ordine del trumpismo e tifano in modo provinciale per le ricette proposte da Trump, senza badare al danno che il nazionalismo e il protezionismo faranno alla nostra economia.

Il Pd invece è schierato a difesa delle imprese e del lavoro italiano e della posizione europea contro i dazi americani. In occasione dell’annuncio di Trump, il governo italiano con il ministro Calenda e il sottosegretario Scalfarotto si sono subito attivati con la Commissione Europea per fare in modo che l’Europa si opponga con forza alle politiche di Trump e salvaguardi così le nostre aziende siano salvaguardate. Ora il Pd riparte da una iniziativa di ascolto e vicinanza in tutte le aziende italiane che rischiano a causa dei dazi proposti dal presidente americano Donald Trump.

In previsione della decisione del 1° giugno, i parlamentari del Pd hanno promosso una serie di incontri nelle industrie del settore dell’acciaio che rischiano di essere colpite dai dazi di Trump, con l’obiettivo di raccoglierne nel dettaglio le preoccupazioni e di manifestare vicinanza ai lavoratori e agli imprenditori. La campagna di incontri ha l’obiettivo di impegnarci a difendere, in tutte le sedi nazionali, europee e internazionali una politica commerciale a sostegno delle nostre esportazioni e di regimi tariffari giusti. Per noi, stare dalla parte dell’Italia significa questo: valorizzare i settori dell’economia che contribuiscono alla crescita, proteggere il lavoro, i lavoratori, chi crea opportunità.

All’iniziativa  hanno già aderito i parlamentari Alessandro Alfieri, Chiara Braga, Piero Fassino, Gianmario Fragomeli, Tommaso Nannicini, Raffaella Paita, Andrea Romano, Ettore Rosato, Alessia Rotta, Ivan Scalfarotto, Debora Serracchiani, Massimo Ungaro, Vito Vattuone, Franco Vazio, Walter Verini, Raffaella Paita, Diego Zardini, Alessia Morani, Piero Fassino, Davide Gariglio, Tommaso Nannicini, Enrico Borghi.

Licenziamenti alla Lagostina e il futuro industriale ad Omegna

lagostina-presidioCredo che le ultime notizie sulla Ditta Lagostina impongano riflessioni più ampie, su quanto sta accadendo da anni, al tessuto industriale della Nostra Città.
Partendo dalla questione dei 4 licenziamenti individuali portati avanti dalla Lagostina, il Partito Democratico, consapevole della delicatezza della situazione, auspica un costante dialogo tra le parti sociali e l’azienda, oggi e in futuro, detto questo, il vero interrogativo che ci dobbiamo porre tutti, è cosa succederà all’industria Omegnese?
Ritengo che le dichiarazioni della Ditta Lagostina a supporto della loro scelta di ristrutturazione, siano molto preoccupanti, perché ancora una volta sentiamo parlare di difficoltà, calo produttivo e riduzione dei costi, omettendo qualsiasi riferimento al futuro dell’azienda, o peggio, a futuri investimenti per la stessa.
Consapevoli del fatto che anche grandi marchi Omegnesi come Alessi, stanno usufruendo della Cassa integrazione da molto tempo, credo sia fondamentale, che l’amministrazione mantenga un contatto diretto e costante con le realtà industriali della Città, al fine di capire fino in fondo, quale sviluppo produttivo potrà avere Omegna.
Ricordo che per quanto sia giusto investire le proprie risorse sulla trasformazione della Nostra Città, da industriale a turistica, non dobbiamo dimenticare le Nostre origini e combattere fino in fondo per mantenere le realtà industriali esistenti, aiutandole e convincendole a investire a Omegna, quindi, anche se consapevole del fatto che il Comune ha un raggio d’azione limitato, il dialogo e la collaborazione tra chi amministra e chi porta valore aggiunto in Città, restano fondamentali.
Il Segretario PD – Omegna e Cusio,
Alessandro Rondinelli

L’ordine del giorno sul Jobs act

matteo renziEcco il testo del documento approvato ieri sera alla direzione nazionale del PD con 130 voti a favore, 20 contrari, 11 astensioni.

Approvando la relazione del Segretario, il Partito Democratico non può perdere questa occasione per realizzare un mercato del lavoro che estenda i diritti e le tutele a quei lavoratori che oggi non li possiedono e dove nessuno sia più abbandonato al proprio destino.
Intendiamo raggiungere questo obiettivo con una riforma di sistema che estenda i diritti nel rapporto di lavoro a chi oggi non ne ha di adeguati e universalizzi le tutele nella disoccupazione; aumenti la produttività favorendo la mobilità dei lavoratori verso impieghi che migliorino il loro reddito e le loro prospettive, senza scaricare solo su di loro i costi di questo aggiustamento.
Per questo sosteniamo il Governo a guida del Partito Democratico a mettere immediatamente in campo strumenti coerenti con questi obiettivi.
1. Una rete più estesa di ammortizzatori sociali rivolta in particolare ai lavoratori precari, con una garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale alla loro anzianità contributiva e con chiare regole di condizionalità attraverso un conferimento di risorse aggiuntive a partire dal 2015.
2. Una riduzione delle forme contrattuali, a partire dall’unicum italiano dei co.co.pro., favorendo la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato con tutele crescenti, nella salvaguardia dei veri rapporti di collaborazione dettati da esigenze dei lavoratori o dalla natura della loro attività professionale.
3. Servizi per l’impiego volti all’interesse nazionale invece che alle consorterie territoriali, integrando operatori pubblici, privati e del terzo settore all’interno di regole chiare e incentivanti per tutti.
4. Una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro. Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie.

Ufficio Stampa PD VCO

“Una riforma del mercato del lavoro è urgente, ma deve prevedere tutele per tutti i lavoratori”

travaglini marcoGiorni decisivi per la riforma del mercato del lavoro. La Direzione del PD ne discuterà lunedì e io mi auguro che la discussione sia vera. Chi difende il reintegro nel proprio posto di lavoro di un lavoratore licenziato senza giusta causa non è un conservatore, molto semplicemente si pone il problema di allargare le tutele e, con esse, la dignità del lavoro. Per questo è auspicabile che si eviti il diktat del prendere o lasciare.
In questi giorni, ho letto tutti i commenti di coloro che propongono di superare l’articolo 18 per i nuovi assunti, anche dopo tre anni dalla data di assunzione, ma nessuno di essi mi ha convinto. Mi sembra una concessione fatta alla destra. Niente di più, niente di meno. Non a caso Forza Italia è pronta a votare a favore di questo aspetto della riforma.
Una riforma del mercato del lavoro è urgente. Lo dicono tutti, quindi non è questo l’oggetto del contendere. Essa, però, per essere efficace e cambiare davvero il mercato del lavoro, deve comportare una drastica riduzione di quelle sei tipologie di contratto che, in questi anni, hanno generato precarietà e incertezze, umiliando milioni di ragazzi e di persone.
La precarietà nasce da questo, non dall’articolo 18. Il contratto a tempo determinato a tutele crescenti non può diventare la quarantasettesima, ma deve essere la forma contrattuale prevalente insieme a pochissime altre.
Perché lo diventi deve, però, essere conveniente e può diventarlo solo le imprese verranno incentivate ad adottarla. In secondo luogo, una seria riforma del mercato del lavoro deve prevedere una universalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali, comprendendo quei lavoratori e quelle persone che, fino ad oggi, sono stati esclusi.
Questo ha un costo che deve essere quantificato e la relativa copertura finanziaria indicata nella legge di stabilità, cioè adesso. Una drastica riduzione delle tipologie contrattuali esistenti e l’universalizzazione degli ammortizzatori sociali sono due facce della stessa medaglia e, proprio per questo, devono essere decise contestualmente. Infine vi è la questione del superamento dell’articolo 18. Il Governo e la destra prevedono che le tutele dell’articolo 18, per la parte che riguarda il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, non debba valere per i nuovi assunti con contratto a tempo determinato a tutele crescenti, nonostante questi lavoratori per tre anni non possano godere di tale tutela.
La motivazione è che il suo mantenimento nuoce alla crescita delle imprese e all’occupazione. Non è vero. Le imprese non assumono e, anzi, stanno licenziando, perché il Paese e l’economia non crescono ed il rischio è che la stessa cosa succeda anche nel 2015. I problemi delle imprese sono altri. Lo pensavano anche Renzi e Squinzi, ma oggi hanno cambiato opinione. Io credo che, decorsi tre anni, ad un nuovo assunto debbano essere garantite tutte le tutele previste dall’articolo 18.
E’ vero che nella maggioranza dei casi i licenziamenti senza giusta causa si sono conclusi con una conciliazione tra azienda e lavoratore, ma questa è una ragione in più per mantenere in vita questa tutela e per scoraggiare, anche in futuro, abusi e licenziamenti senza giusta causa, tanto più che per i primi tre anni i nuovi assunti non potranno contare su nessuna di queste tutele. Le regole e le norme esistono per affermare i diritti, in questo caso la dignità del lavoro, e per scoraggiare comportamenti illeciti. Qualcuno è in grado di dimostrare che tali comportamenti cesseranno di verificarsi? Non lo credo proprio, ma se è così non c’è nessuna ragione per superare questa tutela.

Marco Travaglini, Direzione regionale Pd Piemonte

 

Lavoro: Basta caricature e confrontiamoci sui fatti se vogliamo sul serio “cambiar verso”

1. Questa caricatura degli innovatori da una parte e dei vecchi conservatori dall’altra sarebbe saggio cancellarla. Se gli innovatori sono la destra che pensa di uscire dalla crisi riducendo i diritti e la dignità di chi lavora, io penso sia giusto stare dall’altra parte. Se invece l’innovazione è mettere al centro l’estensione di quei diritti anche a chi ne è privo si apre non un sentiero ma un’autostrada. In termini di principio e strategie. Nessuno vuole arrestare l’azione del governo. Ma è lecito domandarsi e capire se la direzione va nel senso dell’equità o di un’ingiustizia maggiore.

2.Ci sono tre parole chiave per aggredire la recessione italiana (e non solo): investimenti, redistribuzione, diritti. Le cause profonde della ‘crisi peggiore del secolo’ sono legate a una distribuzione squilibrata del reddito. Nei trent’anni gloriosi del dopoguerra la crescita era accompagnata da una distribuzione del reddito che andava in buona parte verso i lavoratori e l’emergere di una classe media. Aumentarono i consumi e la domanda aggregata, il che portava a incrementare produzione, investimenti e occupazione. In Italia, in meno di vent’anni circa 120 miliardi di euro (l’8% del Pil) si sono spostati dal lavoro ai profitti. Inoltre quei profitti sempre di più non vengono investiti nella produzione ma in dividendi e rendite. La conseguenza è che la classe media ha perso dignità, potere d’acquisto, coscienza di sé. Se la risposta a questo disastro è dare mano libera alle imprese per una rincorsa al ribasso dei salari puntando a compensare l’ulteriore calo della domanda interna con una febbre dell’export, forse non è chiara l’emergenza sociale che vivono milioni e milioni di famiglie.

3. Il neo commissario Katainen dice col ditino alzato che bisogna prendere le medicine e non basta averle sul comodino. Si può anche convenire ma è pur vero che le medicine, prima di tutto, si devono poter comprare. Ora, i paesi che in questa fase hanno gestito meglio il problema occupazionale hanno aumentato la spesa per le politiche per il lavoro (e tengono questa percentuale sopra il 2% del PIL). Noi abbiamo una spesa per le politiche per il lavoro storicamente inferiore al 2%. Circa 17 miliardi. La Germania ne spende 48, la Francia 50, la Spagna 40. Quanto alla composizione di quella spesa, dovrebbe andare per il 12% ai servizi, per il 38% alle politiche attive e per il 50% ai sussidi di disoccupazione. Così accade in Germania, Francia, Olanda. Nel nostro caso: i sussidi superano il 75%, le politiche attive il 20 e i servizi per l’impiego meno del 5. Risultato: in Francia ci sono circa 70 mila orientatori e consulenti pubblici per aiutare chi cerca lavoro, in Germania sono 80 mila. Noi poco più di 7 mila operatori pubblici. In Francia c’è un orientatore ogni 40 disoccupati, da noi uno ogni 400. Vogliamo parlare di questo e dare al governo tutto il sostegno che serve a migliorare le performance del nostro mercato del lavoro su questa frontiera? Bisogna aggiungere che solo noi e i greci non abbiamo uno strumento generale di sostegno al reddito per chi cerca lavoro, di tipo universale e condizionato all’attivazione e all’aumento delle capacità?

4. L’abolizione della reintegra ( articolo 18) è un totem? Un tabù? Una bandiera strappata che difende una manciata di lavoratori e non fa parte dello spirito del tempo? Ci vuole pazienza dopo anni di questo martellamento. Basterebbe la logica. Se davvero fosse solo quello, non si capirebbe la furia che ispira i teorici della sua cancellazione. Il punto è che dietro quella norma c’è banalmente un principio. Non un’ottusa convinzione degna dei libri di storia. Un principio. Togli quel principio e apri la via a un mercato del lavoro diverso, qualitativamente diverso. Dove sarà più facile governare “l’uscita” come spiegano con eleganza quelli che hanno studiato. Ma dove soprattutto si sarà certificato che a prevalere è stato un pensiero disposto a sacrificare una parte della parola ‘dignità’ nel nome di un’efficienza fasulla e priva di qualunque riscontro. Questo mestiere di solito lo fa la destra. E’ la destra che parla di apartheid. Noi dovremmo pensare che la via giusta è quell’altra. Fare ciò che nessuno fa: investimenti pubblici come leva di quelli privati, immaginare i settori dove investire perché saranno quelli che descriveranno il profilo produttivo tra cinque o dieci anni. Picchiare la mano sul tavolo e dire che questa è la sola linea che può salvare l’Europa. Se poi, in mezzo al tutto, dedicassimo la stessa cura che diamo a smobilitare qualche diritto a recuperare metà dei centoventi miliardi di evasione, ecco allora forse si capirebbe meglio chi siamo e per cosa ci battiamo. Così si “cambia verso” nel concreto e non a chiacchiere.

Marco Travaglini, componente assemblea provinciale PD VCO

Basta con questa litania sull’articolo 18 e si lavori per creare nuova e buona occupazione.

lavoroUn’altra modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti senza giusta causa rappresenterebbe un colossale errore. L’articolo 18 è stato innovato due anni fa, all’epoca di Monti, grazie a un compromesso tra Fi e Pd. Modificarlo di nuovo  rischierebbe di acuire le tensioni sociali.
Se è vero che per il 58% degli italiani la priorità continua a restare l’emergenza lavoro, questa va affrontata dal governocreando opportunità di lavoro, investimenti per il manufatturiero, innovazione, ricerca, misure per  favorire talenti nella produttività.
Se
il Nuovo Centro Destra, per esigenze di visibilità, ha la pretesa di alzare il tiro chiedendo di rivedere lo Statuto lavoratori e l’articolo 18, due argomenti che – tra l’altro –  nella delega sul lavoro non sono contenuti, occorre rispondere che i problemi, le urgenze e le risposte sono altre. Sulle tutele si può pensare tutt’al più ad una moratoria di tre anni per i neo-assunti ma dopo devono avere anch’essi le stesse garanzie dei loro padri.
Questa polemica sull’articolo 18 svia l’attenzione dai nodi veri dell’economia italiana e poggia la sua motivazione sulla necessità di superare per sempre i retaggi di una cultura novecentesca abbarbicata ai totem sindacali degli anni ‘70.
Ma quando si fa notare che non pare ragionevole e nemmeno probabile che negli anni alle nostre spalle sia stato davvero il “famigerato” articolo 18 a inibire l’assunzione di giovani e meno giovani da parte di imprese costrette a misurarsi con la crisi peggiore dell’ultimo secolo, la risposta è sempre la stessa: “bisogna dare un segnale”,  “occorre abbattere i tabù”, e via di questo passo. Vogliamo davvero dare segnale, abbattendo un tabù?
Bene! Allora  smettiamola di attaccare l’articolo 18 e cerchiamo di creare nuova e buona occupazione. Se qualcuno pensa che lo si possa fare colpendo o riducendo la sfera dei diritti di chi lavora o di chi un lavoro lo cerca, applicando vecchie ricette care alla destra liberista, troverà una forte opposizione.

Marco Travaglini
assemblea provinciale PD VCO