Frontalieri: in parlamento mozione ed interrogazione

Pubblichiamo la mozione e l’interrogazione che l’On. Enrico Borghi ha presentato in queste ore sui temi del frontalioerato.
Una mozione  per impegnare il Governo a promuovere l’apertura di un tavolo di confronto con le rappresentanze delle Associazioni Sindacali e dei Lavoratori dei territori di confine, ed un’interrogazione per al fine di conoscere quali iniziative immediati ed urgenti intenda assumere il Governo Italiano nei confronti delle autorità della Confederazione Elvetica e del Canton Ticino tese a interrompere immediatamente ogni iniziativa discriminatoria, xenofoba e offensiva nei confronti dei lavoratori italiani occupati in Canton Ticino.

Mozione

Premesso che

Sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all’estero con il permesso di frontaliere;di questi olre 45.000 provengono dalle province di Como, Varese e Sondrio;

il frontalierato è a tutti gli effetti un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell’Italia con i Paesi di confine; ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo alo sviluppo di questi Paesi ed una elevata risorsa per l’economia delle province italiane di confine;

la particolare condizione di vita e di lavoro dei frontalieri li espone tuttavia ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;

nonostante la rilevanza del fenomeno il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscerne pienamente il valore e l’importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente; al contrario diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere, generando talvolta una sottovalutazione se non un aggravamento dei tanti problemi aperti;

a titolo esemplificativo le recenti controversie maturate in ordine al riconoscimento dell’indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri attivi in Svizzera, così come le contraddittorie comunicazioni fiscali circa la dichiarazione di conti stipendi e le velate accuse di infondati privilegi, hanno evidenziato l’esistenza di uno spettro assai più ampio di problematiche;

considerato opportuno stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all’approvazione di uno Statuto dei lavoratori frontalieri, che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica;

impegna il Governo

a promuovere l’apertura di un tavolo di confronto con le rappresentanze delle Associazioni Sindacali e dei Lavoratori dei territori di confine e le Regioni territorialmente coinvolte, con l’obiettivo di predisporre l’impianto di uno Statuto dei lavoratori frontalieri utile alla ripresa dei negoziati internazionali in grado di produrre accordi bilaterali con i Paesi di confine, che prevedano una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero.

Roma, 27.03.2013
Braga, Guerra, Dell’Aringa, Marantelli, Gadda, Senaldi, Borghi, Baretta, Farina, Tentori, Fragomeli, Orlando, Arlotti, Petitti

INTERROGAZIONE IN FORMA URGENTE
Al Ministro degli Esteri
Premesso che
– nei giorni scorsi in tutto il territorio del Canton Ticino, appartenente alla Confederazione Elvetica confinante con la Repubblica Italiana, è stata avviata un’intensa campagna di stampa e mass-mediatica con uso di manifesti stradali da parte di un partito politico (l’Unione Democratica di Centro- UDC Ticinese) nei quali si è attivata una vera e propria campagna xenofoba nei confronti dei lavoratori italiani occupati presso aziende ticinesi;
– che tale iniziativa fa seguito di due anni ad una precedente ed analoga campagna, nella quale i lavoratori italiani vennero additati alla pubblica opinione elvetica -in maniera volgare e offensiva come questa volta- come soggetti che derubano la ricchezza e il diritto al lavoro dei cittadini svizzeri
– che sono quasi 50.000 i cittadini italiani che quotidianamente si recano dall’Italia alla Svizzera per motivi di lavoro, provenienti segnatamente dalle province di Varese, Como, Sondrio e Lecco per la Regione Lombardia e dalla provincia del Verbano Cusio Ossola dalla Regione Piemonte
– che le mansioni che i nostri cittadini occupano sono in molti casi di rilievo e di elevata professionalità, e che la loro attività è regolata e garantita da uno specifico accordo bilaterale tra Italia e Svizzera.
Ritenuta inaccettabile ogni campagna discriminatoria, con sfondo razzista e xenofobo nei confronti di chiunque, e pertanto a maggior ragione nei confronti di cittadini della Repubblica Italiana che in maniera onesta e corretta esplicano il diritto al lavoro garantito dalla nostra Costituzione in un confinante Stato estero
Ritenendo indispensabile un passo diplomatico dell’Italia a tutela dell’onore e dei diritti dei nostri cittadini, lavoratori transfrontalieri, al fine di far cessare una pericolosa e perniciosa campagna di stampa ai danni dei medesimi
Interroga la SV
al fine di conoscere quali iniziative immediati ed urgenti intenda assumere il Governo Italiano nei confronti delle autorità della Confederazione Elvetica e del Canton Ticino tese a interrompere immediatamente ogni iniziativa discriminatoria, xenofoba e offensiva nei confronti dei lavoratori italiani occupati in Canton Ticino
on. Enrico Borghi
on. Daniele Marantelli
on. Chiara Braga
on. Mauro Guerra

Dalle Comunità montane alle Unioni, la legge è distruttiva.

“Lo abbiamo detto e ripetuto in tutti i modi, in tutte le lingue. Senza regole chiare e senza un ruolo di guida da parte della Regione, nei processi di associazionismo degli enti locali vi potranno essere solo disgregazione, incertezza, confusione, contrasti, incomprensioni. La trasformazione delle Comunità montane in Unioni sta avvenendo in un clima surreale.
È solo grazie alla lungimiranza di buona parte degli amministratori piemontesi che stanno nascendo le Unioni montane. La Regione Piemonte, con la legge 11 del 2012, con i successivi vuoti legislativi e con le rigide interpretazioni burocratiche, ha disgregato quanto esisteva, senza dire come ricomporre il quadro istituzionale dei piccoli Comuni, di montagna e di pianura”.
Così Lido Riba, presidente Uncem Piemonte, commenta la situazione surreale che gli enti locali vivono in queste ore nelle quali, secondo la legge regionale, le Comunità montane (istituite nel 1971) dovrebbero cessare di esistere per lasciare il posto alle Unioni montane di Comuni, sancite dalla legge nazionale 135 del 2012. “In realtà, finora sono nate solo tre Unioni montane in tutto il Piemonte – prosegue Riba – le altre sono in fase di costruzione, tra mille difficoltà, dovute soprattutto al fatto che la Regione non ha chiarito dubbi e incertezze degli amministratori locali, in particolare per quanto riguarda modalità di gestione in forma associata dei servizi ai cittadini e alle imprese, già garantiti dalle Comunità montane. In pratica, il legislatore ha distrutto un sistema nato 40 anni fa, per non sapere poi come aiutare i Comuni a costruire il nuovo modello di gestione dei servizi e dello sviluppo delle Terre Alte. Anche in pianura, per gli stessi motivi, si sono disgregate Unioni esistenti, con i Comuni grandi che molto spesso hanno ‘abbandonato’ i più piccoli, non essendo prevista una sussidiarietà sostanziale, necessaria oggi tra enti locali, che siano di pianura, di collina o di montagna. Avevamo chiesto un rinvio nell’arrivo dei commissari liquidatori, peraltro non ancora nominati, ma questo non è avvenuto. E ora? Come nell’ultimo anno, Uncem è pronta a fare la propria parte, a lavorare con la Giunta e il Consiglio regionale, con tutti i sindaci e gli amministratori locali per governare una situazione che agli occhi di altre regioni, da sempre attente alle politiche montane del Piemonte viste come un modello, ha dell’incredibile. Continueremo a operare con gli enti locali e la Regione nell’interesse del territorio montano, del suo sviluppo, per la costruzione di migliori servizi ai cittadini e a quanti credono nelle Terre Alte”.
Enrico Borghi, presidente nazionale dell’Uncem, non ha dubbi: “Nell’assenza di un’armonizzazione normativa nazionale di trapasso dalle Comunità montane alle Unioni montane di Comuni, per la quale ho già depositato uno specifico progetto di legge alla Camera dei Deputati, l’iniziativa frammentaria e confusa della Regione Piemonte in materia di riordino degli enti montani sta producendo guasti a ripetizione. Occorre che il nuovo assessore regionale agli enti locali riprenda urgentemente in mano la questione, abbandonando le impostazioni ideologiche che hanno segnato in qui il percorso e adottando gli indispensabili correttivi a una normativa che sta producendo una mappa della geografia amministrativa piemontese confusa e bizzarra, nella quale i territori che si salvano dalla disgregazione sono quelli dove gli amministratori avveduti hanno promosso la nascita di Unioni montane coerenti territorialmente”.

articolo tratto dal sito di TeleVCO