Dopo il voto (2): responsabilità (per cambiare).

Responsabilità. È stata la parola “chiave” della campagna elettorale del Partito Democratico e di Bersani.
L’abbiamo usata in questi mesi, usiamola anche ora per costruire il nostro percorso nei mesi futuri.
Credo che un gruppo dirigente responsabile avrebbe ammesso le proprie colpe e i propri limiti, lavorando da subito per un ricambio netto di classi dirigente e di contenuti. Così non è stato.
Come non sono convinto della bontà della linea uscita dall’ultima direzione nazionale del PD.
Non mi riferisco ai famosi otto punti per “stanare” il movimento 5 Stelle, ma sul come costruire una proposta di governo che questi otto punti li faccia vivere sul serio.
Appare miope pensare che il movimento 5 Stelle accetterà un governo Bersani: sembra di voler sbattere contro un muro, senza capire cosa è successo, senza analizzare davvero il voto.
E’ evidente a tutti una cosa: a meno di fatti straordinari Bersani non sarà presidente del consiglio.
E in direzione nazionale di fronte ad un Bersani che ha affermato “non esiste un piano B”, la vera discussione che è partita tra i “capi corrente” è dentro il partito a tutti i livelli è stata invece proprio quella. Un paradosso evidente delle nostre difficoltà a parlare chiaro di fronte all’evidenza dei fatti.
Questo è il PD oggi. Ne abbiamo avuta una rappresentazione plastica alcuni giorni fa: dove a decidere la linea non è stata, come dovrebbe essere, la segreteria nazionale del partito con i suoi eletti (giovani), ma l’ennesimo caminetto dei “capi corrente” (i nomi li sapete).
Mi sarebbe piaciuto un Bersani responsabile che prendesse atto che questo gruppo dirigente non può essere il protagonista di una fase nuova, di un governo che metta assieme un asse dei parlamentari del movimento 5 Stelle e del PD (se queste sono le intenzioni vere). Bisognava fare un passo indietro e pensare e lavorare per altre soluzioni (magari esterne al PD).
Una mancanza di responsabilità che si lega all’altro elemento che in direzione nazionale è mancato clamorosamente: una vera analisi del voto e un’autocritica sul perché il PD ha avuto un magrissimo 25% dei voti, pur con il centro destra nel suo peggior momento e con il movimento 5 Stelle a pochi voti da noi.
Appare evidente che il PD si è mostrato come partito responsabile si, ma assolutamente conservatore.
In questi anni e in questi ultimi mesi serviva altro; un partito responsabile ma innovatore e deciso a cambiare lo status quo. Siamo apparsi, e per molti versi lo siamo anche nei fatti, come un partito non in grado di rispondere con convinzione alla necessità di un profondo e radicale cambiamento del Paese.
Non è fallita la campagna elettorale del PD in quanto tale, è fallita la proposta generale che il PD ha prospettato al paese.
E il cambiamento l’ha interpretato Grillo con un mix di populismo ma anche di necessarie verità.
Ora se si è responsabili si deve cambiare, davvero.

(sintesi dell’intervento di Alberto Nobili all’assemblea provinciale degli iscritti PD del VCO del 7 marzo 2013)

Dopo il voto (1): ripartire dai fondamentali della politica

L’ultima nevicata di febbraio ha “imbiancato” i partiti (si pensi al crollo del più “antico”, la Lega nord, che dimezza i consensi) e stiamo vivendo una fase imprevedibile (gli italiani sono divisi in 4 parti quasi uguali: gli astenuti, i grillini, i fedeli del centro destra, e i democratici) in cui anche le istituzioni della democrazia rappresentativa sono messe in discussione.
Questa situazione, oltre a destare la legittima preoccupazione per l’ingovernabilità, ha il merito di risvegliare negli italiani l’interesse (e la partecipazione) sugli esiti possibili. 

Come tanti provo a mettere insieme le idee (dal punto di vista dei democratici).
Le elezioni hanno determinato una crisi politica che si aggiunge a quella economica e sociale. La grande coalizione (governo Monti) è stata bocciata dall’elettorato e dunque ogni ipotesi di accordo Pdl-Pd non è praticabile. Pur nelle difficoltà occorre immaginare un percorso completo, seppur a tempo, sulle 2 questioni che si sono fuse nel voto: rilancio dell’economia e credibilità della classe politica.
Da raccontare chiaramente, con la compattezza del partito, e l’obiettivo di appassionare: questo è possibile se il PD (che è nato nel 2007, un anno prima del movimento 5 stelle) unisce alla serietà della proposta, l’ascolto (senza complessi di superiorità) cercando l’empatia con i cittadini, delusi e arrabbiati (come potrebbe non esserlo un giovane disoccupato o un malato che attende mesi per una visita ospedaliera e chi vede poi pensioni d’oro e uno Stato disinteressato se la sua impresa chiude?)
Ci si deve confrontare con i nuovi bisogni politici (il cittadino da “sostenere” e non più da “educare”) con gli strumenti classici (che Grillo ha dimostrato di ben padroneggiare): fare quello che si dice e dire quello che si fa! Ritornano di moda “i fondamentali” degli eletti del popolo: onestà (la politica non è una forma di arricchimento ma il servizio alla comunità che si impara come una professione), competenza (non basta elencare i problemi ma occorrono proposte), concretezza (fatti e non giustificazioni).
Questi obiettivi non si raggiungono con lo spettacolo carismatico in piazza, o con lezioni intensive sul funzionamento del Parlamento, o con la speranza fideistica nella Rete come versione moderna della democrazia diretta (come sa bene ognuno di noi che ricorda la sterilità di una qualsiasi discussione assembleare) ma sono il risultato di un impegno vero che richiede tempo, passione, studio, gradualità, risorse, merito: prima di correre una maratona ci si allena e arriva al traguardo chi ha resistenza…
Il PD deve rispondere alla sfida per divenire una forza popolare che “si sbrana” i populismi: è tempo di destrutturare, attaccare i privilegi, aprire ai giovanissimi (rilanciamo il voto ai sedicenni e candidiamo alle elezioni amministrative del 2014 dei consiglieri ventenni che possano fare apprendistato nei comuni), dando esempi autentici e perseguendo con tenacia le soluzioni utili con un orizzonte ampio, sulle questioni di fondo di tasse, lavoro, Stato sociale, semplificazione, visione del futuro: il Partito Democratico non ha forse il sogno, da realizzare, di modernizzare l’Italia?
Se Bersani riceve il mandato dovrebbe proporre un governo a termine che faccia una legge elettorale che premi la governabilità e preveda qualche intervento sociale ed economico rivolto ai lavoratori (dipendenti ed autonomi) e alle imprese; interventi finanziari (contenimento della Tares e niente aumento dell’Iva a luglio). Tutti noi guardiamo con fiducia alle decisioni del Presidente Giorgio Napolitano, un “sempre giovane” di 87 anni, che si dedica alla politica dal 1945!
Dunque…coraggio democratici!
Silvia Marchionini,
Sindaco di Cossogno