Cota incontra le mamme: il resconto completo della serata

Riportiamo per informazione il resoconto fatto da un giornalista di Eco Risveglio sull’incontrno di domenca sera, 31 luglio a Domodossola tra Cota e i comitati nati in Ossola.
E’ stata una tregua armata quella siglata nell’atteso incontro tra il governatore Roberto Cota e i Comitati sanità dopo l’incontro avvenuto domenica sera in Comunità montana a Domodossola.
Un incontro fatto di scontri duri e aspri, di momenti di tensione ma conclusosi con una stretta di mano finale e, sembra, la reciproca volontà di superare l’impasse.
«Cota non sa quello che avviene qui – era il leit motiv dei Comitati e delle Mamme prima dell’incontro -. Monferino dice delle cose, poi all’Asl Vco fanno tutto il contrario». Di qui l’esigenza di chiarire al governatore la realtà delle cose, per bypassare il commissario Corrado Cattrini e il primario del reparto di Ostetricia Ginecologia.
All’arrivo di Cota il clima è visibilmente teso. Ad accoglierlo c’è un “cerchio magico” di leghisti: Michele Marinello e Roberto De Magistris, il vice presidente della provincia Paolo Marchioni, l’assessore Germano Bendotti e molti altri.
Nessun fischio o contestazione e l’incontro, che doveva essere ristretto ai rappresentanti dei Comitati, è stato pubblico.
L’inizio è stato duro, con Tiziana Zazzali del Comitato Mamme a lanciare un j’accuse articolato: «Ci è stato detto che il punto nascite chiudeva per mancanza di infermieri, poi di ginecologi, infine per la sicurezza. Intanto sappiamo che i ginecologi mancano, ma a Verbania dove ben 5 ginecologi ad agosto non ci sono (tre sono in ferie e due in maternità). A Domo sono nati 4mila bambini nel Punto nascite, senza decessi o lesioni neonatali imputabili al parto. Dei 32 punti nascita piemontesi ben 7 hanno meno di 500 parti ma chiude solo Domo. Siamo sempre sorteggiati dalla sfiga? Poi a Verbania – ha detto Zazzali tra gli applausi e le incitazioni del pubblico – una mamma che ha perso il bambino alla 38esima settimana è stata messa in stanza con due mamme che allattano e con una che sta facendo la terapia per ritardare il parto: questa è crudeltà».
Altra stoccata è arrivata sulle dichiarazioni di Cota che paragonava il reparto alla Thyssen: «Lei forse non ci ha pensato ma ha insultato le persone che ci lavorano» e la chiosa è stata: «Rivogliamo il maltolto, un punto nascite con i fiocchi con personale qualificato».
La replica di Cota ha subito creato malumori: «Non mi faccio spaventare» ha esordito il governatore. «Neanche noi» hanno replicato a muso duro i presenti.
Poi Cota è partito con un lungo resoconto sulla sanità: «Occorre riorganizzare la sanità, abbiamo bisogno di contenere la spese e dare servizi più capillari. Sui punti nascite il minimo in deroga è di 500 parti. Non c’entra la politica, la sicurezza sotto quei numeri non c’è. Il Vco dovrà avere un solo punto nascite. Se poi si vuole stabilire, in accordo con i sindaci e le comunità locali, di farlo a Domodossola, io sono assolutamente d’accordo. A me dispiace che qualcuno si sia offeso del paragone con Thyssen, ma io mi baso sulle relazioni tecniche. Qui poi c’è un numero anomalo di cesarei». «E’ falso, siamo nella media nazionale» hanno ribattuto i presenti. Poi Cota è partito all’attacco: «Ma lo sapete che qui manca un’emodinamica? Che se uno ha un infarto deve andare a Novara?».
«E se una deve partorire? – ha ribattuto una mamma – Lei forse non lo sa, ma l’emergenza non è ancora superata. Lei parla di sicurezza ma dall’11 luglio siamo senza un piano di emergenza, con un ginecologo reperibile e un chirurgo generico d’appoggio in caso di emergenza (problema poi forse risolto con il via libera all’assunzione di Pasquale Bonanno, ginecologo in pensione vicino ai Comitati: ndr). E’ questa la sicurezza che la Regione garantisce alle donne ossolane? Il 13 luglio il ginecologo al mattino non si è presentato, è arrivato solo alle 11 dopo le nostre denunce». «Lei si rivolge alla persona sbagliata – ha ribattuto Cota – io lavoro per potenziare e migliorare, con il piano che sta mettendo a punto Paolo Monferino (direttore generale alla Sanità e futuro assessore: ndr)».
E sull’emodinamica Zazzali ha detto: «Non ci stiamo alla logica del baratto, se c’è bisogno di emodinamica che la si metta, ma il punto nascite deve restare a Domo e non può essere oggetto di un baratto».
Poi è intevenuto Bernardino Gallo, Sos Ossola, che ha rincarato la dose: «Prima restituite il maltolto, poi parliamo di dove posizionare emodinamica. E poi Cota spieghi perché Borgosesia, che fa meno parti di Domo, non chiude ed è sicuro mentre qui si chiude. Emodinamica – aggiunge Gallo – deve andare a Domo, perché se va a Verbania porterà con sè Neurologia e Cardiologia e presto tutto il reparto di emergenza e rianimazione».
Anche Rocco Cento è intervenuto per chiedere al presidente di non lasciare decidere il futuro ai sindaci: «Lei non conosce la realtà, l’Ossola è in minoranza, è schiacciata tra Verbano e Cusio. Con questa provincia creata senza una logica di vera distribuzione dei servizi l’Ossola è sempre stata penalizzata e sarà di nuovo così. Siamo stufi di vederci sottrarre ogni reparto uno dopo l’altro. Se lei lascerà decidere i sindaci perderemo ancora. Lei è federalista, io le dico che qui sta prendendo piede un forte spirito autonomista e senza servizi l’Ossola andrà per conto suo».
Dopo questi interventi Cota ha cambiato tono e atteggiamento: «Forse all’inizio ci siamo presi un po’ male, vediamo di prenderci un po’ meglio. Io conosco questo territorio, il mio obiettivo è fare del bene, non togliere cose. Qui servono più servizi e più capillari, io non ho mai detto di cancellarne, casomai voglio aumentarli. E’ logico che i due ospedali lavorino in integrazione, con alcuni servizi a Domo e altri a Verbania, ma con pari dignità ai due ospedali. Mi impegno personalmente a fare questo, dandone mandato a Monferino e al commissario Asl Corrado Cattrini».
A sentire questo nome è scoppiata la bagarre: «Cattrini no, è come dare i pulcini in mano alle volpi»  hanno urlato dalla sala. «A settembre vogliamo parlare con lei e Monferino» è stato detto.
Cota ha allora sintetizzato: «Martedì 2 agosto (l’altro ieri: ndr) sarà qui Monferino, poi tornerà a settembre a spiegare il nostro modello, che avrà una struttura unica organizzativa e un punto urgenza secondo il modello di ospedale in rete. Non escludo che questo reparto sia in Ossola. Ma questo è un fatto tecnico: io prometto che politicamente Domo avrà pari diritti di Verbania».
A quel punto è intervenuto Michele Marinello: «Questa situazione si è creata per responsabilità tecniche precise di personaggi ben precisi. La direzione si sta muovendo per rimuovere questo tipo di problemi. I tempi non saranno rapidissimi come è stato anche per l’assunzione di Bonanno che ha consentito di superare le emergenze».
A quel punto è intervenuta Jessica Fasoni, una delle mamme col pancione: «Le faccio una cronistoria. Il reparto è stato chiuso l’11 lugli senza piano d’emergenza dell’Asl. Il 12 abbiamo chiesto il piano a Monferino. Il 13 mancava il ginecologo. Io sono ignorante, ma al Dea di Domo so che gli infarti si curano. Ma se devo partorire dove vado? Questa è una discriminazione della figura femminile. La prossima chiusura sarà il Country pediatrico. Useremo il bonus bebè per pagare la benzina per andare a Verbania? Io di politica non me intendo, ma le chiedo: se avesse vinto Galvani ci sarebbero stati questi tagli?».
A darle manforte anche Debora Eustacquio, anche lei con il pancione: «Io due anni fa ho partorito a Domo con un cesareo d’urgenza. Se capita oggi cosa faccio? Se lei fosse mio marito cosa farebbe?».
Cota ha risposto spiegando: «Con mia moglie quando sono nati i miei figli ho fatto 50 km per raggiungere il suo ginecologo di fiducia. Io sto lavorando per risolvere i problemi, spero che mi sarà riconosciuto».
Nel suo intervento il sindaco di Crevoladossola Gianni Rondinelli ha spiegato la posizione dei sindaci: «Ho partecipato a tutti gli incontri trovando in Monferino una persona eccellente. Il sindaco di Verbania Marco Zacchera ha convocato solo a inizio luglio, nonostante i nostri solleciti, la conferenza dei sindaci, dove ci è stato comunicata la chiusura del Punto nascite, con la promesso di riaprirlo a settembre. A quel punto a noi interessava soprattutto il discorso dell’emergenza in quanto l’Asl non aveva approntato nessun piano per affrontarla. Nell’incontro del 19 luglio Monferino ci ha garantito la riapertura del reparto entro i primi 15 giorni di settembre e per la gestione dell’emergenza ha dato il suo via libera all’assunzione del dottor Pasquale Bonanno come ginecologo. Finita la videoconferenza con Monferino i vertici locali dell’Asl hanno iniziato a stravolgere il piano, mettendo tantissimi ostacoli. A quel punto il 28 luglio i sindaci ossolani si sono riuniti e hanno detto che fino a che non verrà garantita la sicurezza con il piano dell’emergenza attivato avrebbero restituito al prefetto la delega per la salute pubblica, non essendo più in grado di garantirla. Per quanto riguarda emodinamica abbiamo chiesto alla regione un Piano sanitario preciso. La destinazione dell’emodinamica andrà concertato e discusso nella conferenza dei sindaci, ma fino alla riapertura del punto nascite noi non parteciperemo alla conferenza dei sindaci».
Alla fine Cota ha concluso impegnandosi a sentire martedì Monferino «per sapere come è andata. Tra due mesi ci sarà un incontro dove illustreremo a tutti il modello di sanità che intendiamo portare sul territorio. Però nessuno deve pensare di fare poltica sfruttando la sanità, perché è sulla sanità che noi prenderemo i voti».
In conclusione l’impressione finale dei Comitati si divide in due fazioni.
Il partito degli ottimisti sostiene che Cota non sapeva molte delle cose che capitano nella nostra Asl e che alla fine porrà rimedio. I più pessimisti dicono invece che l’emergenza sul Punto nascite è stata creata ad arte per distrarre l’Ossola dalla partita dell’Emodinamica: «E’ già tutto deciso – diceva qualcuno – alla fine daranno il Materno infantile a Domo ed Emodinamica a Verbania. Ma le mamme di Verbania andranno a partorie a Borgomanero, non a Domo, e alla fine tempo qualche anno chiuderà anche il punto nascite domese. Nel frattempo l’emergenza sarà scappata sul lago e noi rimarremo con il cerino in mano». E qualcuno aggiungeva che dietro il posizionamento di Emodinamica a Verbania ci sarebbero anche interessi di privati, pronti ad entrare pesantemente sul territorio. Dietrologie senza senso o realtà? Non si sa. Solo il tempo potrà dirlo.
ro.bi.
Tratto da Eco Risveglio

SANITA’: UNA VICENDA POLITICA, UNA FACCENDA DEMOCRATICA

Intervento di Enrico Borghi sul tema sanità.
La vicenda della sanità nel Verbano Cusio Ossola non è una questione tecnica, da consegnare al cesello ragionieristico di veri o supposti esperti di riorganizzazione aziendale ospedaliera.
Essa è vicenda politica. Anzi: geopolitica. Perché tiene insieme, lega e indissolubilmente mischia aspetti che travalicano il merito della questione, per affrontare il futuro di una comunità territoriale e il destino di realtà geografiche montane che hanno conosciuto nel corso dell’ultimo quindicennio un costante e, all’apparenza, inesorabile processo di depauperamento delle opportunità e di regressione dei diritti di cittadinanza.
E dentro a questa cornice, essendo una questione politica, si disegna anche un nuovo modo di concepire e articolare lo stesso esercizio democratico del potere.
Se non si capisce questo, o se si vuol far finta di non capire questo, inevitabilmente si colloca la vicenda lungo un piano inclinato in cui la disintegrazione del collante sociale e territoriale su cui ha retto per un quindicennio (alquanto fragilmente, in verità) il territorio del Verbano Cusio Ossola appare essere l’approdo finale.

Il San Biagio, l’ethnos ossolano
L’Ospedale San Biagio costituisce, non da oggi, il coagulo del sentimento identitario degli Ossolani.
Per motivi che meriterebbe approfonditi studi delle scienze sociali, su di esso nel corso di vent’anni si sono sedimentate le ansie, le speranze, le preoccupazioni di una popolazione che non ha ancora metabolizzato il passaggio dalla società industriale e chiusa del Novecento a quella liquida e globale del Duemila. Un passaggio che è stata la fine di antiche certezze (il posto fisso nel pubblico, la fabbrica che accoglieva operai e quadri, il commercio che fioriva nel capoluogo ossolano, una microsocietà di servizi fatta di spedizionieri, impiegati, finanzieri spazzata via dalla fine della frontiera) a cui non si sono sostituite nuove opportunità. Ma, al contrario, a cui si sono sostituite nuove incertezze, proprio nell’era in cui la “belle epoque” della globalizzazione rendeva più ricca tutta la pianura padana. Circostanza che ha fatto rifulgere antiche ingiustizie, tra le quali l’assoluta colonizzazione della Val d’Ossola che produce più energia idroelettrica di Lombardia e Veneto messe insieme ma che vede solo briciole sempre più rinsecchite in cambio di questo straordinario contributo allo sviluppo nazionale.
Sta dentro questa dicotomia il motivo per il quale questo “mondo minore” si è andato progressivamente scollando dalle istituzioni, dai partiti, dai sindacati, e si è cercato –spesso confusamente- un approdo diverso, a metà strada tra un impossibile ritorno indietro e un ingresso “mediato” nel mondo globale. A questa nuova “gens ossolana”, alle sue rabbie e ai suoi spaesamenti, la Lega Nord ha offerto mitologie, e il berlusconismo illusioni e megafoni.
Mentre la sinistra ignorava semplicemente questa mutazione genetica, spesso rinserrandosi anch’essa nella placenta delle sue antiche liturgie ormai consunte, la destra dava fiato a una sorta di identità mutante e bifronte dell’Ossola a cavallo dei millenni. Un’identità insicura e ansiogena, radicata e spaesata, solidale e impaurita al tempo stesso.
L’Ospedale San Biagio è diventato il precipitato di questa nuova identità. E’ diventato il luogo dell’ethnos ossolano, nel quale si condensano radici e prospettiva e sul quale si dimensiona il raccordo tra il passato e il futuro.
E con l’ethnos, con le heimat per dirla alla tedesca, insomma con l’identità c’è poco da scherzare. Perché la storia di questi anni ci insegna che è materia da maneggiare con cura. Quando l’identità diventa fobia ideologica, ci riporta alla tragica strada balcanica.
Eppure, su questo tema in molti –anche in Val d’Ossola- ci hanno giocato e sguazzato, promettendo province autonome, zone franche, aree a totale esenzione fiscale, per soffiare sul fuoco del risentimento e della voglia del rinserramento e incassare copiosi dividendi elettorali ad ogni tornata.
L’impasto Lega-Pdl ha strizzato l’occhio ad un improbabile ritorno a com’era verde la mia valle da un lato, e fatto intendere che bastava appaltare a loro potere e consenso per trarsi fuori dall’impiccio di questo primo scorcio di secolo in cui il destino cinico e baro ha chiuso le società degli spedizionieri, le fabbriche nel fondovalle, il comando della Guardia di Finanza, gli uffici decentrati della vecchia provincia di Novara e ha rattrappito in maniera impressionante la mammella di mamma Enel, un tempo turgida e oggi avvizzita.
Quella politica ha fallito su entrambe le direzioni di marcia, non ha saputo riportare indietro le lancette della storia come imprudentemente aveva lasciato intendere di saper fare e non ha saputo accompagnare questa società impaurita e frastornata dentro la nuova dimensione di una società mutata.
E alla caduta dell’illusione leghista e berlusconiana –testimoniata anche dalla clamorosa vittoria di Mariano Cattrini alla guida di Domodossola- la gens oscellae, che aveva appaltato ad essa una prospettiva dimostratasi fallace, si è guardata intorno e si è trovata, una volta di più, il baluardo al quale aggrapparsi: l’ospedale san Biagio.
E’ dunque così difficile capire perché, ancora una volta come nell’agosto del 2002 e senza che nessuna centrale organizzativa “tradizionale” si sia mossa, al grido di “giù le mani dal San Biagio” migliaia di ossolani si siano ancora una volta ritrovati a sfilare per le vie di Domodossola, con una partecipazione popolare spontanea e sentita per ritrovare la cui intensità bisogna probabilmente riandare ai tempi a cavallo dell’ultima guerra?

Una nuova domanda di politica
C’è un’ulteriore considerazione da fare su questa vicenda, a mio avviso innescata cinicamente –come nel 2002- per giungere al dozzinale baratto ora proposto :“a te il materno infantile e a me l’emodinamica”.
Veniamo accusati, noi sindaci del “documento 28 luglio” di essere asserviti alla piazza, soggiogati dalle nuove Masanielle delle valli e addirittura apprendisti stregoni che soffiano sul fuoco della demagogia populista. Tralasciamo pure il fatto che tra i pontefici di queste tesi vi è chi deve tutta la propria carriera politica ai collegi blindati, alle liste bloccate e al ferreo controllo del partito di appartenenza e della sua filiera di potere connessa, e che quindi fatica a capire che la democrazia è potere che sale dal basso e non che si impone dall’alto.
Ma si fa così fatica a capire che, in realtà, oggi in Ossola c’è una nuova domanda di partecipazione democratica? E’ così complicato leggere in quello che succede la spinta di una società che vuole esserci, non si rassegna, e che in maniera confusa e spesso contraddittoria chiede comunque alla politica due cose a cui essa non sembra essere più abituata, e cioè l’ascolto e la capacità di rappresentare dal basso anziché imporre dall’alto?
Se alle mamme col pancione del presidio (così come ai genitori dei disabili cui viene tolta l’assistenza, o ai cassintegrati che vedono chiudere lo stabilimento o ai frontalieri che vengono dileggiati oltreconfine) la politica non sa rispondere nient’altro che una scrollata di spalle o addirittura, come pretende il sindaco di Verbania, il “credere obbedire combattere” in cui il compito del sindaco è quello di “spiegare a chi contesta che così non si può andare avanti” (senza naturalmente dire dove bisogna andare nel frattempo!), allora si che quella “cosa” diventerà folla che diventerà piazza che spazzerà via una politica che viene vissuta solo come casta, politici nominati e autorefenziali e quindi ormai delegittimati.
Se fossi in Cota, anziché insistere in maniera puerile su una tesi insostenibile (se Domodossola è come la Thyssen perché sta sotto i 500 parti annui lo sono anche numerosi altri ospedali in Piemonte dove il metro di misura è evidentemente diverso…) ringrazierei quei Sindaci che l’altra sera, con grande sobrietà e senza alcun cedimento alla tentazione di accarezzare la tigre per il verso del pelo, hanno dimostrato che le istituzioni sono ancora ascolto, comprensione e rappresentanza. Perché se salta la diga della credibilità dei cittadini nei confronti delle istituzioni, l’acqua che ne esce spazza via tutto il sistema.
Da come la politica e le istituzioni locali sapranno governare questa vicenda dipendono tante cose. Dipende certamente il futuro della qualità della vita degli ossolani, e il fatto di essere considerati cittadini al pari di altri, attraverso l’esercizio del diritto alla salute. Dipende anche il futuro della Provincia del Verbano Cusio Ossola, compressa dentro una torsione che -tra spinte accorpatrici nazionali e pulsioni liquidatorie interne- rischia di far sublimare la sua attuale evanescenza in definitiva evaporazione. Ma ne va anche della nostra democrazia, in questi tempi –per dirla alla Salvadori- di “democrazie senza democrazia”.

Due modelli in campo
Sul campo oggi, in realtà, ci sono due modelli: quello del “diritto che precede” e quello del “diritto che procede”. Il diritto che precede è quello che nasce da istituzioni che si impongono dall’alto, ritengono che la loro capacità illuminista e razionalizzatrice sia la verità rivelata e non celano il fastidio davanti ad ogni dissenso, interpretato come indice di incapacità di comprendere o addirittura come insubordinazione. E’ la politica che vuole imporre, perché appunto precede il popolo.
Il “diritto che procede” è quello che nasce da istituzioni che nascono dal basso, ascoltano e rappresentano le proprie comunità e uniformano le proprie decisioni alla sintesi delle esigenze popolari, cercando il bene comune. E’ la politica che vuole accompagnare, perché segue e se del caso indirizza il popolo.
I Sindaci dell’Ossola hanno cercato di farsi interpreti del “diritto che procede”. La Regione Piemonte (e i suoi corifei locali, a cominciare dal sindaco di Verbania) sono splendidi interpreti del “diritto che precede”. Orizzontali e sussidiari i primi, verticali e gerarchici i secondi.
Già Tocqueville, nella “Democrazia in America” ci ricordava che il decentramento amministrativo, e quindi i Comuni che ne sono la prima forma istituzionale, è la prima garanzia di libertà in una società democratica, mentre l’accentramento è per sua natura autoritario e può essere un punto di partenza per il dispotismo. Inutile dire quale modello preferisco, che a mio avviso è anche quello corretto per tirar fuori questo territorio dal ginepraio nel quale è finito.
Ma se si preferisce essere più prosaici, sarebbe bene ricordarsi della prima scena del film “Giù la testa” di Sergio Leone, in cui un gruppo di aristocratici messicani su una diligenza svillaneggiano un peone messicano bifolco e ignorante ritenendosi superiori e più civili, finchè il peone e i suoi figli non mettono mano alle pistole e si impossessano della diligenza lasciando gli altezzosi nobili legati ad un cactus del deserto come mamma li fece.
Bene: non so se a Torino e dintorni qualcuno si senta come quegli aristocratici messicani, come pure a volte sembra lasciar trasparire qualche atteggiamento. Una cosa è certa: in Ossola si sono stancati di essere considerati dei peones beoti!