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Energia la sfida di domani. Contributo del Presidente nazionale Uncem Enrico Borghi

image"Oggi i problemi fondamentali dell’Occidente sono: il terrorismo, l’incremento demografico e le fonti energetiche. Ma, mentre il terrorismo e il boom demografico hanno cause e motivazioni differenti, il problema delle fonti energetiche li ricomprende entrambi. Da un lato infatti, la spinta demografica fa aumentare in modo esponenziale il fabbisogno e i consumi energetici. Dall’altro proprio questo rende le fonti energetiche, come il gas o il petrolio, una risorsa strategica."

Questa frase è di Barack Obama, che appena eletto ha costituito una task force sul tema dell’energia guidata da Steven Chu, premio Nobel per la fisica 1997 precisando che nel 21° secolo tutti dobbiamo essere pienamente consapevoli che l’economia e la sicurezza nazionale di tutti i paesi occidentali sono strettamente connessi all’energia. E che su questo versante la nuova economia sarà fondata sull’uso di energie rinnovabili per ridurre la dipendenza dell’America dai paesi fornitori di petrolio.
Risorsa strategica vuol dire sia per la sicurezza dei popoli e delle nazioni, ma anche per lo sviluppo economico della nostra civiltà industriale.
Liberarsi dalla dipendenza dal petrolio è quindi per l’Europa e l’Occidente la vera sfida di domani, che apre nuovi scenari, e nuove opportunità. (segue)
L’ENERGIA IDROELETTRICA BASE DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO ALL’INIZIO DEL NOVECENTO
Per noi Italiani occorre, anche in questo campo, imparare le lezioni che ci vengono dal passato, evitando di ripetere alcuni errori che hanno talora penalizzato la nostra industria idroelettrica e di cui anche l’Aem e la Valtellina, così strettamente legate nella storia energetica della nostra regione, hanno pagato il prezzo.
E fra le lezioni di ieri, una soprattutto va ricordata. L’Italia, povera di carbone, più di ogni altro paese europeo ha fondato il suo sviluppo economico-industriale del Novecento sull’energia idroelettrica.In Italia è nata nel 1898 la prima centrale idroelettrica d’Europa, la centrale Edison di Paderno d’Adda e, come tutti gli storici dell’economia hanno messo in rilievo, senza l’apporto energetico dell’industria idroelettrica sarebbe inimmaginabile il decollo dell’Italia industriale in età giolittiana fra il 1906 al 1914 quando prendono avvio i primi impianti dell’Aem in Valtellina che, insieme a quelli della Edison e della Falck, diventano il motore energetico dell’economia italiana.
Basti pensare che ancora nel 1895 la potenza installata dell’industria elettrica era di appena 86 MW, per metà di origine termica e per metà di origine idrica. Bene, nel 1912, cioè in meno di trent’anni questa potenza installata raggiunge in Italia 1.000MW, quasi interamente dovuti all’energia idroelettrica. Diventiamo così il 4° paese produttore di energia elettrica in Europa, il 6° nel mondo. I comuni illuminati con l’illuminazione elettrica passano in meno di vent’anni da 410 a 4.600, i capitali investiti da 31 milioni a 551 milioni, le obbligazioni emesse dalle industrie elettriche da zero a 140 milioni.

IL RUOLO DEL POLITECNICO E DELLA CULTURA TECNICO SCIENTIFICA

Quello che genera in Italia l’industria idroelettrica già alle sue origini è, insomma, un moto economico imponente che ha il suo epicentro a Milano, non solo perché è la capitale economica e finanziaria d’Italia, ma perché a Milano c’è il Politecnico, il maggiore istituto italiano di cultura tecnico-scientifica del tempo. Sono gli scienziati e i professori del Politecnico di Milano che mettono a punto la tecnologia del trasporto a distanza dell’energia, che ridà un nuovo significato e un nuovo contenuto economico al rapporto tra sistema alpino ed economia di pianura.
Ed è questa convergenza tra capacità impenditorial-finanziaria e cultura tecnico-scientifica universitaria ciò che ha reso immediatamente forte l’industria idroelettrica italiana in area lombarda-piemontese e ha consentito all’industria italiana di superare senza grossi danni la grave penuria di carbone che si genera negli anni della prima guerra mondiale e di rispondere senza problemi al grande incremento dei consumi elettrici del dopoguerra quando nell’arco di soli sei anni la capacità degli impianti idroelettrici quadruplica addirittura in Italia. Se noi, ad esempio, diamo uno sguardo all’industria prebellica italiana, noi vediamo che i settori di punta sono la metallurgia, la siderurgia, la chimica, ecc. Ma nel 1925 i settori di punta sono l’elettrometallurgia, l’elettromeccanica, l’elettrochimica, che sono tutti settori fortemente energivori e che senza l’industria idroelettrica in Italia in quegli anni non sarebbero nati. Ciò fa in modo che l’Italia, mentre nel 1914 importava quasi tutti i suoi macchinari elettrici dalla Germania, dopo la guerra diventa invece esportatrice in tutta Europa di generatori, trasformatori, fili e cavi elettrici, elettrodi, lampade a incandescenza, ecc.


IL BACINO DEL TOCE CASO NAZIONALE

La “risalita a salmone” del capitale e della tecnologia milanese fece dell’Ossola e del bacino del Toce uno dei nodi focali dello sviluppo dell’industria nazionale dell’energia idroelettrica.Fu il gruppo Edison a “colonizzare” energeticamente il bacino ossolano. Alla vigilia della nazionalizzazione compiuta dal governo Fanfani (Il 6 dicembre 1962 viene emanata la Legge 1643 che prevedeva la nazionalizzazione del sistema elettrico e istituiva l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), cui venivano demandate
"tutte le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta") l’Edison controllava nel “distretto idroelettrico” del Toce una potenza installata ai motori primi di 644 MW, pari a poco meno del 20% di quella idroelettrica totale del gruppo e al 5% circa di quella idroelettrica nazionale.
I vertici dell’Edison diedero sempre una rilevanza precipua al complesso idrografico della Val d’Ossola, che si sostanziò nella creazione di 12 centrali (alcune delle quali autentiche perle di architettura industriale create dall’architetto milanese Piero Portaluppi e che furono alla base della nascita e del boom della “Umberto Girola s.p.a.”), alle quali affiancarono 8 centrali della Dinamo e 4 centrali della Sisma.
Lo sviluppo idroelettrico delle vallate ossolane produsse un fenomeno nuovo sotto il profilo occupazionale e sotto quello produttivo. A cascata delle assunzioni fatte per i nuovi profili occupazionali creati nel ciclo produttivo, l’innervamento aziendale produsse anche ripercussioni sul versante dell’infrastrutturazione turistica non solo dell’Ossola ma anche del Verbano (si pensi ai rifugi Maria Luisa, Mores e Città di Busto sorti sulle ceneri degli edifici di cantiere delle dighe, all’albergo Cervandone dell’Alpe Devero a disposizione dei dipendenti e dei pensionati aziendali, alla pensione di Rivasco e all’albergo Cascata del Toce assai frequentati dal personale delle società del gruppo, alla colonia estiva per i dipendenti del gruppo Edison realizzata a Suna, sul lago Maggiore). La Edison e la Dinamo, insomma, rappresentarono per almeno due decenni per l’Ossola ciò che la Fiat rappresentò per Torino: il tipico esempio di fordismo.
Del resto, ancora prima che l’Ossola fosse pervasa dallo slancio imprenditoriale delle grandi società elettrocommerciali, nella valle si avviavano iniziative pionieristiche locali per lo sfruttamento dell’elettricità a scopo di illuminazione.
Già nel 1886 gli ingegneri Ricci e Ceretti presentavano al sindaco di Domodossola un progetto per l’illuminazione ad energia elettrica comprendente 40 lampade ad incandescenza. E nel 1891 il comune di Domodossola concedeva ad una società milanese, la “Marazza, Castiglioni e Mantica” la concessione per 15 anni per “l’impianto e l’esercizio dell’illuminazione elettrica pubblica della città a mezzo lampade ad arco e ad incandescenza”. Nel 1894 l’ingresso in tale società di nuovi capitali bresciani trasformò la ragione sociale in società in accomandita semplice “Fraschini, Porta e c.” che si incarico di gestire l’illuminazione pubblica di Domodossola. Fino a che si aprì un forte scontro politico interno al Consiglio Comunale di Domodossola, alla fine del quale, dopo il coinvolgimento di una società terza (la “Società elettrica di Intra”) e l’intervento della Prefettura di Novara, la concessione elettrica venne rilasciata nel 1904 anche ad una compagnia di espressione locale, la “Società Idroelettrica Ossolana”, la quale aveva realizzato nel 1901 un impianto in val Bognanco che sfruttando un salto di 290 metri azionava 3 turbine per 750 HP complessivi, grazie ai quali la Idroelettrica Ossolana fu in grado di praticare una politica tariffaria di oltre il 50% inferiore rispetto alla concorrente bresciana. La storia qualcosa dovrebbe pure insegnarci…
Nel 1898 gli industriali siderurgici Ceretti realizzarono il primo impianto idroelettrico ossolano sull’Ovesca per scopi industriali, con una potenza di 400 HP.
Nel 1899 si costituì a Novara una società anonima con capitali raccolti nel Verbano, la “Società Elettrica Ossolana” che con investimenti realizzati nei bacini della Valle Antrona ricavò l’energia per l’illuminazione della città di Intra. Nello stesso anno la “Società per le Forze Motrici dell’Anza”, con sede a Milano, amministrazione a Novara e l’apporto di capitali svizzeri (la finanziaria della Brown-Boveri) iniziò la costruzione di una centrale elettrica a Piedimulera, che entrò in funzione nel 1907 per l’illuminazione dei centri del lago Maggiore, Orta e di Novara. Tale società si sarebbe fusa nel 1917 con la Dinamo, la quale a sua volta sarebbe passata sotto l’influenza della Edison due anni dopo e sotto il suo pieno controllo nel 1925. Nel 1928 la Dinamo assorbì anche la Società Elettrica Ossolana.
Seguendo così un inevitabile processo di concentrazione, quasi tutte le prime società elettrocommerciali nate nell’Ossola finirono a poco a poco nell’orbita del gruppo Edison.


LA NAZIONALIZZAZIONE DELl’ENERGIA NEL 1962 E I SUOI ERRORI

Per l’economia italiana e per quella ossolana, perciò, veramente l’energia idroelettrica è stata “il carbone bianco”, come diceva la grande scritta che campeggiava sopra uno degli stand del padiglione italiano all’Expo di New York del 1936. E lo è stata fino al 1962 quando tutta l’industria elettrica italiana viene nazionalizzata. Non è il caso qui di ripercorrere la grande discussione che allora si sviluppò sui pro e sui contro di questo atto del primo governo di centrosinistra. È appena il caso, però, di accennare al fatto che quella nazionalizzazione rappresentò un momento di svolta e di crisi per il comparto idroelettrico, non tanto a causa della nazionalizzazione in sé, che forse non era neppure sbagliata, ma per come venne concretamente attuata. Con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, infatti, il monopolio della produzione e della distribuzione passa all’Enel, che, a differenza delle imprese private, non nasce per fare utili, ma per erogare un servizio.
Le perdite di bilancio vengono ogni anno ripianate dallo Stato che ne è il proprietario, mentre il Cip, il Comitato interministeriale prezzi, provvede, di tempo in tempo, ad adeguare le tariffe. Quando nel ’74, con la prima crisi petrolifera il prezzo del petrolio improvvisamente si impenna, questo meccanismo non basta più a reggere i costi, e il management dell’Enel inventa allora il cosiddetto sovrapprezzo termico che consente l’adeguamento automatico delle tariffe ai costi di produzione. Dal meccanismo del sovrapprezzo viene però escluso tutto il comparto idroelettrico che continua a vendere a un prezzo amministrato, cioè basso, senza poterlo adeguare ai maggiori costi di produzione. La produzione idroelettrica diventa così, per la prima volta, cosa assurda, meno conveniente e competitiva di quella termoelettrica . Ma, fatto ancora più grave, il management dell’Enel , proprio grazie al meccanismo del sovrapprezzo che gli consente di trasferire direttamente sui prezzi finali i maggiori costi del petrolio, diventa incapace di innovare e di entrare in settori nuovi come il nucleare. Che interesse avevano, del resto, i manager a innovare, cioè a ricercare nuove fonti energetiche per abbassare i costi di produzione, con quel comodo meccanismo del sovrapprezzo che gli consentiva di presentare bilanci aziendali non disastrosi? Questa è stata per l’Italia una delle conseguenze negative della nazionalizzazione unitamente, cosa ancora più grave, alla scomparsa della gloriosa industria elettromeccanica nazionale.

EFFETTI DELLA NAZIONALIZZAZIONE

Come ha reagito il comparto idroelettrico a questa situazione? Grazie al potere espresso dalla classe politica milanese , la municipalizzata di Milano, l’Azienda Energetica Milanese – AEM riuscì nel ’62 a sottrarsi alla nazionalizzazione e a firmare con l’Enel un accordo per cui il mercato milanese della distribuzione dell’energia veniva diviso esattamente a metà. Il caso dell’Aem aveva poi fatto testo sul piano nazionale, salvando di fatto tutte le municipalizzate. E con le municipalizzate anche le aziende come la Edison e la Falck erano riusciti a salvare i propri impianti. La Edison, che era uscita dal settore elettrico per entrare nella chimica fondendosi con la Montecatini, aveva conferito tutti i propri impianti alla Selm (Società elettrica Montedison), mentre la Falck aveva dato vita nell’82 coi propri alla Sondel. Sia la Selm che la Sondel, due società entrambe quotate in Borsa, nascevano allora da una logica finanziaria, ma operavano comunque in una logica imprenditoriale di mercato formando il nucleo catalizzatore di ciò che sarebbe avvenuto in seguito negli anni Novanta con il ritorno alla liberalizzazione del mercato dell’energia.
La Val d’Ossola, e più in generale il VCO, che non avevano conosciuto l’esperienza delle municipalizzate a seguito delle scelte fatte all’inizio del secolo dalla classe politica domese dell’epoca, rientrò pertanto totalmente all’interno del perimetro di quella che allora venne definita “mamma Enel”.La quale assicurava – grazie alla sua natura pubblica – un posto di lavoro praticamente garantito a tutti coloro che vi trovavano impiego, ma che al tempo stesso svolgeva una
funzione sostanzialmente assistenziale soprattutto nelle vallate alte dell’Ossola, dove il posto sicuro all’Enel veniva visto come una affrancazione sociale da un passato di povertà contraddistinto dall’agricoltura di montagna a basso valore aggiunto e dalle emigrazioni.
Il drenaggio occupazionale dell’Enel, così, se da un lato risolse il problema della occupazione in vallate montane altrimenti a rischio di desertificazione, dall’altro compresse lo spirito di iniziativa e di intrapresa delle popolazioni locali che attiveranno processi di riscoperta delle tradizionali filiere legate alle risorse economiche locali (turismo, zootecnia, enogastronomia) sono in coincidenza con l’estinguersi del ruolo pubblico dell’ente elettrico.

UNA NUOVA FASE NELLA STORIA: LA TRASFORMAZIONE IN SPA E LA QUOTAZIONE IN BORSA, LA LIBERALIZZAZIONE

L’ingresso dell’Italia in Europa con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht nel 1991, unito ad una sostanziale degenerazione partitocratica che avviluppava via via sempre più tutte le Partecipazioni Statali e dalla quale l’Enel non poteva essere esente, impose all’inizio degli anni ’90 un radicale cambio di direzione e di marcia
È infatti nel 1992, quando i partiti storici uno dopo l’altro entrano in crisi, che viene varato il “decreto Amato” che imponeva sia ad Enel che alle municipalizzate il passaggio a spa, spalancandone l’ingresso in Borsa. Il decreto Amato del ’92 e poi il decreto Bersani del ’99 che liberalizza il mercato dell’energia, rompevano lo schema monopolista creato all’inizio degli anni ’60 e costituivano in questi anni la base legislativa per lo sbarco in Borsa di Enel. Grazie a quel decreto è stato possibile all’Aem, ad esempio, dar vita con la Edison, la Atel ed altri alla Edipower e condurre a termine nel 2002 la grande operazione di acquisizione dall’Enel di Eurogen.
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LA NASCITA DI A2A: IL SUO SIGNIFICATO STORICO E IL “VUOTO” DEL VCO

E sempre grazie al decreto Bersani del 1999 è stato possibile condurre in porto l’altra grande operazione di questi anni che è stata la fusione con Brescia e la nascita di A2A.
A2A non è solo un importante evento economico che rimescola le carte sul mercato italiano dell’energia, ma rappresenta per la Lombardia un evento socio-culturale di grande rilievo. In essa, infatti, confluiscono la tradizione del riformismo socialista milanese, impersonata dalla Aem, con quella del solidarismo cattolico bresciano di cui è espressione l’Asm, a dimostrazione che certi fatti non avvengono a caso, non sono solo frutto delle strategie contingenti del momento, ma sono il risultato del lento lavorio della storia e della sua logica di lungo periodo di cui gli uomini, con le proprie scelte, si fanno interpreti. Ecco perché molti ritengono che la nascita di A2A sia uno di quegli eventi destinati a segnare la nostra storia economico- sociale del XXI secolo, allo stesso modo in cui la nascita dell’Aem nel 1910 ha segnato quella del Novecento lombardo.
E già qui possiamo fare una riflessione per notare almeno due punti di cesura tra la realtà del VCO e altri territori simili: il primo primo e rappresentato dal fatto che agli albori del secolo il capitalismo locale aveva rinunciato a farsi guida di un processo, dopo il timido tentativo della Società Idroelettrica Ossolana presto riassorbita dal gigante Edison e senza la volontà della classe liberale dell’epoca di attuare in Ossola ciò che il giolittismo indicava con la legge sui servizi pubblici locali che porterà alla nascita delle potenti municipalizzate nelle città lombarde, Milano e Brescia in testa.
E il secondo punto di rottura sta nel fatto che nel VCO le amministrazioni pubbliche si sono si fatto “addormentate” rispetto al tema dell’energia, pensando che questo fosse sostanzialmente appannaggio esclusivo dell’Enel per quanto attiene alle grandi concessioni di derivazione e del mercato sostanzialmente speculativo locale privato per quanto attiene alle piccole concessioni.


LIBERO MERCATO IN MANO AI PRIVATI O RUOLO GUIDA DEL PUBBLICO?

La liberalizzazione del mercato e il processo di fusione e riaggregazione che ne è seguito ha portato alla nascita di nuovi “colossi” nati dalle ceneri delle precedenti municipalizzate: A2A nasce come fusione tra Milano e Brescia, e stringe relazioni e alleanze industriali
strette con le società elettriche di Trento, Bolzano e dell’Emilia Romagna.
Torino procede integrando la AEM Torino con la AMGA di Genova e lancia in borsa Iride S.p.A, che diventa il terzo operatore nazionale nel settore dei servizi a rete (produzione, vendita e distribuzione di energia, gestione servizi idrici e servizi alle pubbliche amministrazioni), che sottoscrive un patto parasociale con la emiliana Enìa (nata a sua volta dalla fusione avvenuta nel marzo del 2005 tra la Agac di Reggio Emilia, la Amps di Parma e la Tesa di Piacenza).
Noi dobbiamo oggi onestamente prendere atto che la liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia non ha comportato quella riduzione dei prezzi che tutti si attendevano. Ci si torna perciò giustamente a chiedere, e lo ha fatto fatto anche il ministro Giulio Tremonti, se il libero mercato totalmente in mano agli operatori privati sia una soluzione obbligata, oppure se per certe attività e per certi settori, come quello dell’energia appunto, non sia più ragionevole che il settore pubblico torni ad avere un ruolo guida. Allo stato attuale è bene dunque ribadire un concetto di fondo : il controllo delle strategie del settore energetico sia fatto da parte del pubblico, la gestione venga effettuata in base alle regole di mercato.
Questo per il Verbano Cusio Ossola rappresenterebbe una autentica rivoluzione, visto che qui il pubblico non ha fatto una autentica strategia, e le regole del mercato non sono mai esistite visto che non è stata fatta UNA SOLA GARA delle attuali 161 concessioni idroelettriche PUBBLICHE rilasciate nel territorio provinciale per una straordinaria potenza media nominale installata di 391.872,18 kW!

LE SFIDE CHE ABBIAMO DI FRONTE

Questa può essere una buona base per affrontare le vere sfide strategiche che ci vengono dal contesto globale del mercato dell’energia.
1) La prima è l’esplosione demografica di paesi come la Cina, l’India o il Brasile, con la conseguente crescita esponenziale della domanda di energia. E’ questo un dato che non possiamo fermare e che non sarebbe neppure giusto fermare, perché non si può negare ai paesi emergenti il diritto di crescere e di svilupparsi come noi abbiamo fatto.
2) Avremo quindi sempre più bisogno – e questo è il secondo punto – di energia in quantità crescente, facilmente disponibile e a basso costo, che ci sottragga ai ricatti del terrorismo e alle trappole della geopolitica. E che ponga il Verbano Cusio Ossola in un’ottica di competitività e di attrazione per aziende industriali e manifatturiere di nuova generazione che siano interessate all’impiego di energia rinnovabile
3) Ma avremo anche sempre più necessità di rispettare l’ambiente e gli equilibri ecologici del pianeta che potrebbero essere seriamente compromessi dall’uso massiccio di fonti energetiche inquinanti.


IL RINNOVO DELLE CONCESSIONI E LE LINEE DI UN NUOVO RAPPORTO CON IL TERRITORIO DEL VCO: IL MODELLO BOLZANO E TRENTO

Se guardiamo agli ultimi cento anni, il VCO – e la Val d’Ossola in particolare – è stato con le proprie risorse idriche protagonista della vita economica regionale e nazionale. Ma lo è stato passivamente come terra di conquista e di colonizzazione. Dell’Edison e della Dinamo dapprima, dell’Enel successivamente. E poi della pletora di piccoli produttori, selezionati in maniera eccessivamente rapida, sbrigativa e burocratica senza che si sia attivata una reale politica di competizione e di conseguente maggiore ritorno sul territorio.
Noi ora vogliamo che il nostro territorio sia protagonista anche nel nuovo scenario strategico internazionale che ho disegnato. E che lo sia in forme più strette e più forti che in passato, non più solo come territorio produttore del bene acqua e del bene energia monetizzato in maniera quasi esilarante con il concetto ormai datato dei sovracanoni di bacino imbrifero montano , ma come vero e proprio partner territoriale di un progetto industriale. Questo, insomma, non è e non deve essere più per noi un territorio dove lasciare qualche regalia e qualche compensazione, ma è un territorio che noi vogliamo rendere soggetto attivo nel nuovo scenario energetico internazionale.
Non lasciamoci spaventare dalle nostre dimensioni piccole! Se guardiamo un piccolo territorio svizzero come Poschiavo, piccolo comune di 3.500 abitanti nei Grigioni, ci accorgiamo che qui ha sede una società, la Rezia Energia, che oggi vende e distribuisce energia in mezza Europa, fra cui l’Italia. Guardiamo un altro piccolo paese della vicina Svizzera, Olten nel canton Soletta grande come Omegna con i suoi 16.000 abitanti dove ha sede la Atel, ora riassorbita nel gruppo “Alpiq Holding SA” un’altra società che in più di cento anni di vita è riuscita a diventare un piccolo colosso mondiale dell’energia.
Perché ciò che è stato possibile a due passi da noi, non deve essere possibile qui, nel Verbano Cusio Ossola?
Il rinnovo delle concessioni idroelettriche può diventare – e deve diventare – l’occasione per rifondare su basi nuove il rapporto fra i produttori idroelettrici e la Provincia del VCO col decollo di un’Azienda di Valle, che potremmo chiamare “Azienda Energetica delle Valli Lepontine” o “VCO Energia” a partecipazione pubblico-privata, inserita in un più vasto progetto industriale in grande di darle immediatamente una prospettiva nazionale e internazionale. Ma in questa direzione occorrerà stabilire alcuni punti fermi :
– Il primo è che la risorsa acque è una risorsa del territorio e dunque la sua gestione non può essere delegata alla Regione, ma deve far capo alla Provincia in stretto raccordo con i Comuni dove insistono le opere di presa e di lavorazione e con le Comunità Montane per effettuare la necessaria perequazione funzionale ad una seria operazione di equilibrio ambientale e socio-economico.
– Il secondo è che, accanto alle istituzioni, una Azienda energetica delle nostre Valli deve vedere come soggetti protagonisti al proprio interno anche gli industriali, le forze imprenditoriali e le banche del territorio, in primis la Banca Popolare di Intra che avrebbe in tal modo l’occasione concreta per fugare ogni dubbio che spesso aleggia circa la sua reale volontà di rimanere radicata sul territorio nel quale è nata.
Il modello cui guardare è quello già sperimentato con le Province di Trento e di Bolzano, dove con successo si è unita la capacità del pubblico di guidare le strategie e la logica di mercato per la gestione del comparto.
Solo così il Verbano Cusio Ossola potrà compiere quel salto di qualità che la sua economia oggi richiede e che solo in questo quadro si potrà discutere di energia a basso costo o a costo zero e di altri vantaggi territoriali altrimenti impossibili da conseguire.
Per il VCO l’inedia, l’inerzia o peggio ancora l’ignavia su questo tema non solo sarebbe uno schiaffo inaccettabile, ma anche un vero e proprio danno per le generazioni future. Questo è dunque il bivio dinnanzi a cui si trova oggi la Provincia del VCO.
Cogliere, in coincidenza con la scadenza delle concessioni, l’occasione di un’apertura da protagonista sul mercato internazionale dell’energia, che significa gestire direttamente in prima persona le proprie risorse idriche riscattando un secolo di sostanziale colonizzazione, oppure rimanere chiusa nel proprio risentito e rancoroso rivendicazionismo di piccoli vantaggi territoriali e monetari, condannandosi a rimanere incapaci di sostenere un progetto di sviluppo per queste valli entro lo scenario energetico che si apre di fronte a noi.

Sabato 13 mobilitazione contro il decreto sulle liste elettorali

image Sabato 13 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale, ci sarà una mobilitazione del PD contro il decreto sulle liste elettorali. Lo faremo con dei sit-in di tutto il centro sinistra:
sabato, mattina e pomeriggio, Centro Billa (ex Uni), Omegna
sabato, ore 10,00 Ipercoop Gravellona Toce,
sabato, ore 14.00 – Piazza Ranzoni, Verbania, a seguire ore 17 aperitivo offerto dal PD
sabato, ore 17 – P.zza Municipio a Domodossola.
Il PD annuncia la manifestazione con le altre forze di centrosinistra e l’ostruzionismo in Parlamento. Bersani: “La responsabilità è del Governo, non si attacchi il Quirinale”. I commenti del PD sul decreto Dopo le leggi ad personam per tutelare interessi privati del premier, ecco che si fanno le leggi su misura per le liste regionali del Pdl per sanare i pasticci provocati dai loro dirigenti locali.
Il trucco c’è e si vede. E il Quirinale non c’entra: “Lasciamo fuori il Presidente Napolitano. Non è il suo mestiere entrare nel merito dei decreti. Il governo ha la responsabilità di questo decreto. È a lui che bisogna rivolgersi” ha affermato Pier Luigi Bersani, a Genova per l’apertura dalla campagna elettorale.

Per questo i partiti di centrosinistra dopo le iniziative di oggi a Roma, Milano, Torino annunciano per sabato prossimo una manifestazione nazionale a Roma,(SCARICA IL MANIFESTO) mentre i capigruppo del PD al Senato e alla Camera annunciano l’ostruzionismo su tutti i provvedimenti governativi.
Il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, nel primo pomeriggio annuncia la convocazione per domenica sera alle 20.30 del coordinamento politico presso la sede del partito in via Sant’Andrea delle Fratte. Intervistato in Liguria prima dell’intervento di apertura della campagna elettorale per le regionali spiega come “a partire da oggi faremo una mobilitazione anche nelle sedi giurisdizionali, i Tar sono ancora aperti, faremo una mobilitazione mi auguro fino alla Corte Costituzionale”. Ma nessun ritiro dalla competizione elettorale da parte del centro sinistra, come viene chiesto sul web e su alcuni giornali “perché con l’Aventino non abbiamo mai risolto niente. Capisco la scossa e il turbamento, soprattutto nella situazione del Lazio perché la soluzione trovata è incredibile, tre volte incredibile. Detto questo, con l’Aventino non abbiamo mai risolto niente”.

Il decreto pubblicato in Gazzetta è un vero e proprio condono, un provvedimento che serve solo a occultare gli errori e le divisioni, a sanare il vero e proprio pasticcio combinato da una destra che pensa di vincere calpestando le regole. Contro il decreto il Pd e l’intero centrosinistra promuovono una manifestazione nazionale a Roma, che si svolgerà sabato prossimo nel pomeriggio. Contro la destra dei sotterfugi e degli imbrogli la parola d’ordine sarà: per vincere, sì alle regole, no ai trucchi.

Lo facciamo perché “il governo ha intera la responsabilità di aver consumato un ultima violazione delle regole democratiche – come ha dichiarato Rosy Bindi, presidente dell’Assemblea nazionale del Pd – si vogliono coprire le divisioni, i malumori, le inadeguatezze del centrodestra e si trucca la partita elettorale per vincere, costi quel che costi. Non accettiamo questa arroganza del potere che calpesta i principi della democrazia e mette a rischio i fondamenti della convivenza civile. Mobiliteremo tutti i democratici del Paese, e anche tra gli elettori del centrodestra sono tanti quelli che oggi sono le prime vittime di una classe dirigente di irresponsabili e di azzeccagarbugli. Il voto di marzo sarà anche l’occasione per far vedere che si sta allargando il divario tra il centrodestra e il sentire profondo degli italiani”.

Mentre in Parlamento sarà ostruzionismo su ogni provvedimento come annunciano in una lettera inviata dai presidenti dei Gruppi Pd di Senato e Camera , Anna Finocchiaro e Dario Franceschini a Schifani e Fini. Poche righe per annunciare la linea dura: “Signori Presidenti, è nostra opinione che il decreto legge ieri approvato dal Governo in materia elettorale rappresenti un gravissimo precedente nella storia repubblicana. è evidente che questo atto avrà immediate conseguenze sul nostro atteggiamento parlamentare. Abbiamo ritenuto doveroso informarVi preventivamente”.
Sarà il blocco dell’attività parlamentare. Primo passo alla Camera, l’iscrizione a parlare di numerosi deputati nella discussione sull’Agenzia per i beni sequestrati alla mafia in calendario lunedì. Stesso discorso per il voto finale sulla conversione del decreto sugli Enti locali, per non parlare dello stesso decreto interpretativo sulle regionali il cui iter prenderà il via proprio da Montecitorio. A finire sotto la "tagliola" del blocco del Pd, invece, al Senato sarà primo tra tutti il legittimo impedimento, atteso a palazzo Madama da martedì prossimo

Eletta l’assemblea provinciale del PD del VCO

image Primo passo nel rinnovo dei gruppi dirigenti del Partito Democratico del VCO dopo la fase delle primarie.
Sabato scorso è stata eletta l’assemblea provinciale del PD del VCO, che avrà il ruolo di dirigere il partito.
Successivamente l’assemblea provinciale provvederà ad eleggere il nuovo segretario provinciale e la segreteria.
Sono 52 i componenti (50 + 2 di diritto) che in base ai risultati delle primarie vedono 29 componenti riconoscersi nella mozione Bersani, 11 nella Franceschini, 10 nella Marino.
Il 50% dei componenti è composto da donne. Sono invitati permanenti i consiglieri comunali di Verbania, i consiglieri provinciali, i sindaci iscritti al PD, i coordinatori dei circoli; gli eletti nella direzione regionale del partito, ed i capigruppo di Domodossola e Omegna.
Ecco l’elenco. cognome nome
BERTINOTTI PAOLA
BIANCHI RACHELE
BOLOGNINI DAVIDE
BORGHI ENRICO
BOZZUTO FRANCO
BOZZUTO ANNA
BURATTI DONATELLA
BUZIO ALESSANDRO
CARBONE YURI
CORSINI LEONORA
COSTA STEFANO
COVRE FEDERICA
DAVID GIOVANNI
D’ELIA FRANCESCO
DESANTI GIOVANNI
DI DITTA ANNA
FEMMINIS CASSANDRA
FILIPPA LAURA
FILIPPI FLAVIA
FORTIS CLAUDIA
GALLACCI RENATA
GAROFALO CIRO
GEBBIA ALESSANDRA
GIANI GIAN MARIA
GIULIANI CRISTINA
GRAZIOBELLI LILIANA
GRIECO GIUSEPPE
LOMAZZI MONICA
MARGAROLI GIOVANNI
MATTAZZI CHIARA
MEDALI MARIA GRAZIA
MELLANO ADELAIDE
MINACCI MORENO
NOBILI ALBERTO
PATTONI ROBERTO
PIEMONTESI SARA
RAVAIOLI PAOLO
RESCHIGNA ALDO
RICHETTI GRAZIA
ROSARIO MAURO
SGRO’ FAUSTO
SULAS PAOLO
TARTARI MARCO
TOMOLA NADIA
TRAPANI ANTONELLA
TRAVAGLINI MARCO
VARALLO ROSA RITA
VESCI IRENE
ZA GIOVANNI
ZANONI CARLO
ZANOTTI CLAUDIO
ZARETTI GRAZIANO

PRIMA RIUNIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE: la nota di Enrico Borghi

IL PD “MODERNA RETE DI INIZIATIVA POLITICA”.  SULLA GIUSTIZIA SI’ AL CONFRONTO, MA VIA QUESTO “IMPOTABILE”DDL
“Non sarò un segretario permaloso. Dirò la mia qua, e chiedo a tutti di fare della direzione il luogo della discussione franca”. Si è presentato cosi’ Pierluigi Bersani, alla prima convocazione della direzione nazionale del Pd all’indomani delle primarie del 25 ottobre.
Nel suo intervento, molto concentrato sulla struttura del partito (“tema da riportare a dignità politica, e da non confinare più nelle varie ed eventuali”) il neo segretario ha tracciato le direttrici di marcia del partito chiamato “a dare gambe al nostro sogno”. Il Pd per Bersani dovrà essere una “moderna rete di iniziativa politica che abbia solidità, consistenza e vitalità per reggere il peso del progetto impegnativo che siamo dati”. Per realizzare questa moderna rete Bersani ha indicato alcuni punti fermi:
–    i livelli sottostanti dovrano esser rappresentati secondo il principio ascendente dal basso verso l’alto
–    si dovranno attribuire spazi di autonomia politica e organizzative ai livelli regionali e provinciali (con la necessità di affrontare il nodo delle risorse finanziarie che devono tornare e restare sui territori)
–    bisogna arrestare la separatezza tra partito e amministratori locali, i quali sono risorse preziose che vanno valorizzate
Su questi filoni Bersani ha tratteggiato il partito federale e l’organizzazione interna, che sarà più nel dettaglio affrontata nella prossima direzione, riconvocata per il 24 novembre. Spazio dunque alla conferenza dei segretari regionali, ad una segreteria esecutiva composta da “persone di nuova generazione non parlamentari”, a forum tematici con le personalità più autorevoli del partito e le competenze, ad un “pensatoio” che si raccordi con le varie fondazioni presenti nell’area democratica, ad una ripresa della formazione politica attraverso l’organizzazione giovanile e la festa democratica.
Sul piano più politico, Bersani ha affrontato il “caso Rutelli” (“defezioni effettivamente immaginate e predisposte da tempo”) sottolineando la necessità di rispondere politicamente per non lasciare vuoti e spazi aperti. “Sono troppo convinto della bontà del nostro progetto per essere preoccupato –ha detto- ma non dobbiamo affrontare questi temi con sufficienza”. Orecchio a terra anche sul tema economico-sociale: “Cresce –ha proseguito il segretario- l’area del disagio che nasce dal bisogno, e su questo si registra l’impotenza litigiosa della maggioranza. Noi invece dobbiamo mettere a tema la questione del divario e delle disuguaglianze, tornando all’analisi dei fatti sociali”.
Sulla polemica del giorno (andare o non andare alla manifestazione “no-B day” del 5 dicembre indetta da Di Pietro, Diliberto e Ferrero) una battuta: “diamoci una regola generale, sulla base della quale alle manifestazioni che abbiamo parole d’ordine compatibili il Pd sarà presente, e comunque un grande partito  come il nostro non aderisce a manifestazioni promosse da altre, ma ne promuove, come intendiamo fare noi a dicembre con l’assemblea dei 1000 amministratori democratici che si terrà a Milano il 14 dicembre per dire al paese che ripartiamo dal basso per discutere dei problemi degli italiani anziché fare come la destra che discute dei problemi di Berlusconi”.
Di qui ad affrontare il nodo giustizia il passo è breve: “quanto proposto dal governo sul processo breve è impotabile, e va ritirato. Siamo disponibili a fare una riforma della giustizia, ma quel ddl va ritirato”.
Il dibattito che segue è compatto: 28 interventi in quasi quattro ore, con i big tutti silenziosi e un impianto sostanzialmente in linea con le proposte del segretario, con qualche divaricazione tra chi in piazza con Di Pietro ci andrebbe subito (Civati) e chi non ci pensa neppure (Marini, Fioroni).
Il filo conduttore lanciato da Bersani –ovvero prendere l’iniziativa politica per non disperdere la fiducia di 3 milioni di elettori- lega i vari contributi degli oratori.
Appuntamento al 24 novembre, per la seconda puntata del “Bersani style”.

Enrico Borghi

Mobilitazione del PD del VCO sui temi della giustizia: lunedì23 incontro pubblico a Verbania.

image Mobilitazione del Partito Democratico del VCO contro il disegno di legge presentato dal Governo Berlusconi.
Potete scaricare cliccando qui il volantino.
Strozzano la Giustizia: processi a rischio. È questo il titolo comune che racchiude le due iniziative che nei giorni prossimi il PD del VCO mette in campo sul tema della giustizia contro il disegno di legge presentato dal Governo.
Dopo il  Sit-In organizzato davanti al Tribunale di Verbania ci sarà un incontro pubblico convocato per Lunedì 23 novembre alle ore 21.oo presso il centro d’incontro di S.Anna a Verbania. IL tema sarà ”migliorare l’efficienza del sistema giudiziario, accelerare i tempi dei processi: Le proposte del PD”. Parteciperà l’On. Anna Rossomando, avvocato penalista, componente della commissione giustizia; coordina l’incontro Aldo Reschigna, consigliere regionale. Altro che processi brevi: con il disegno di legge presentato dal Governo saranno di fatto cancellati centinatia di processi tra cui (fonte Corriere della Sera): Parmalat con Tanzi imputato, il crack Cirio, quello dell’amianto di Eternit, le tangenti delle inchieste Enipower-Enelpower, il processo all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, il processo alla clinica milanese San Carlo per i falsi rimborsi al servizio sanitario, i dossieraggi della Security Telecom-Pirelli e moltissimi altri. Ed ovviamente saranno cancellati i due processi che riguardano Berlusconi ovvero quelli Mills e sui Diritti Mediaset. Una clamorosa beffa per tutti i cittadini onesti, un colpo di spugna per molti delitti e delinquenti, un vero indulto mascherato.
Pierluigi Bersani: “Il mio slogan – ha spiegato il segretario democratico – è "processo breve, purché ci sia". Norme per snellire i processi sono auspicabili, ma se si vuole usare delle norme titolate "processi brevi" per non fare i processi o per non fare qualche processo, allora essa diventa non accettabile”.
Facciamo sentire il nostro dissenso: partecipiamo tutti