I FATTI DI TORINO: NO ALLA VIOLENZA, SI’ ALLA DEMOCRAZIA

image Le vicende accadute ieri alla nostra Festa Democratica nazionale di Torino , con lo squadristico assalto dei centri sociali al segretario della Cisl Raffaele Bonanni,  meritano una netta posizione e una riflessione politica.
La netta posizione è sull’uso della violenza. Purtroppo c’è ancora qualcuno in Italia che ritiene che si possa incidere sulle decisioni politiche urlando, minacciando, impedendo il libero confronto, alzando le mani, minacciando l’incolumità delle persone e mettendone a repentaglio la vita. Non sto esagerando. Ero presente ieri in piazza Castello, ed è esattamente quello che è accaduto. Come se la storia italiana non avesse insegnato nulla, come se la lunga scia di sangue degli anni ’70 e ’80 iniziata con i cattivi maestri e Autonomia Operaia e finita con le mitragliette Skorpio delle Brigate Rosse e le  P 38 di Prima Linea fosse solo un’invenzione, qualcuno vuole far tornare indietro il film e infilare nelle relazioni tra capitale e lavoro lo scontro fisico, la sopraffazione,la violenza (verbale prima e fisica poi). Su questo non possono esserci margini di dubbio, o peggio ancora di ambiguità. Chi ritiene che questi siano mezzi di lotta politica per noi è fuori dal gioco, non è interlocutore e non è nel solco della democrazia. Chi giustifica o avalla simili metodi non è, e non può essere, né nostro amico né nostro alleato. Chi –peggio ancora- strizza l’occhio a questa concezione della politica  è un cattivo maestro da cui guardarsi, e sta in una parte del campo politico che non è, e non sarà mai, la nostra.
In Italia c’è già stato chi, vestito con una maglietta nera (come quella che portavano ieri i ragazzotti dei centri sociali) impediva con violenza il libero confronto democratico: era il fascismo. Ieri come oggi, chi è dalla parte della libertà e della democrazia rifiuta e condanna l’uso della violenza. Senza se e senza ma.

Abbiamo le nostre idee delle relazioni industriali e sindacali, abbiamo opinioni difformi nel merito talvolta con questo o con quel sindacato, con questa o con quella organizzazione di categoria. E la giornata di ieri, con il confronto tra il nostro vicesegretario nazionale e il segretario della Cisl, doveva servire per entrare nel merito del confronto, e cercare il bandolo della matassa di una situazione molto complicata dove si devono legare le ragioni dello sviluppo e della crescita economica con quelle del diritto ad un lavoro dignitoso e adeguato. Impedire questo confronto con prepotenza –in un momento di alta tensione tra le forze politiche e tra le forze sindacali- significa giocare allo sfascio. Noi non ci stiamo, e nell’esprimere la nostra solidarietà alla Cisl e al suo segretario rilanciamo la nostra idea di democrazia, fatta di regole e di diritti, e di libertà, dove le minoranze urlanti e prepotenti non possono sostituirsi alla stragrande maggioranza dei cittadini pensanti.

E c’è una riflessione politica da fare, che parte proprio dai fatti di ieri. Evidentemente c’è qualcuno a cui da fastidio, tremendamente fastidio, un Pd che si mette al centro del dialogo e del confronto, che di fronte allo sfacelo di una destra in preda al collasso punta ad essere il perno e il traino dell’alternativa. Evidentemente c’è qualcuno che preferirebbe spingere il Pd verso l’angolo dorato del frazionismo e dell’estremismo, dove più si urla e meno si conta. E da dove si assistono alle dinamiche fatte da altri, dove  ci si lava la coscienza urlando contro il “padrone” e dove qualche mente fragile mette mano ai razzi da lanciare contro il “nemico di classe”. E’ li che ci portano le predicazioni verbali violente di chi, ogni giorno, non perde l’occasione per cercare di dimostrare la propria presunta purezza per lucrare qualche consenso in più alle nostre spalle e mettere in crisi il nostro progetto politico.
Siamo in mezzo al guado. Anche qui, è già accaduto nella storia che l’estremismo si mettesse in campo per condizionare, spaventare e orientare le forze politiche. Possiamo e dobbiamo fare la nostra parte perché l’uscita dell’Italia dal berlusconismo non significhi l’esplodere del radicalismo e la sconfitta storica del centro sinistra italiano, ma al contrario ne sancisca la maturità e la capacità di guidare un processo di democrazia e di libertà.

Enrico Borghi
Direzione Nazionale PD

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