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Edilizia scolastica: il governo stanzia oltre 4 milioni per il VCO

scuola verbania4.142.770.39 euro: e’ questa la somma complessiva che giungera’ nel Verbano Cusio Ossola a seguito dell’approvazione della prima tranche del “Piano di edilizia scolastica” varato dal governo Renzi. Ad annunciarlo e’ l’on. Enrico Borghi, capogruppo del Pd in commissione ambiente, territorio e lavori pubblici di Montecitorio. “Le risorse -osserva Borghi- verranno messe a disposizione dei Comuni su tre filoni: quello definito #scuolebelle, per il miglioramento edilizio e ripristini funzionali, quello definito #scuolesicure, per la messa in sicurezza degli edifici e rimozione amianto, e quello definito #scuolenuove, per fabbricati di nuova edificazione.
Gli stanziamenti saranno sotto forma di sblocco di patto per i comuni che ne fanno fatto richiesta e di primo stanziamento con fondi statali, e i Sindaci riceveranno comunicazione alla Ragioneria dello Stato nei prossimi giorni”.
I comuni dal provvedimento interessati nel VCO sono: Arizzano, Baceno, Casale Corte Cerro, Crevoladossola, Domodossola, Gravellona Toce, Malesco, Omegna, Premeno, Stresa, Vanzone con San Carlo, Verbania, Villadossola, cui si aggiunge la Provincia del VCO. Gli interventi sono immediatamente cantierabili. “Per gli altri comuni -prosegue l’on. Borghi- che rispondendo all’appello del governo hanno chiesto finanziamenti o lo sblocco di patto per interventi che inizieranno nel 2015, si aprira’ una nuova possibilita’ con il prossimo Documento programmatico di economia e finanza e con mutui in fase di attivazione con oneri a totale carico dello Stato. Si tratta di una risposta concreta e tangibile alle esigenze delle nostre comunita’, e conferma l’attenzione che il governo e la sua maggioranza parlamentare pongono ai temi della scuola, delle autonomie locali e del territorio”. “Per il VCO si tratta di un ottimo risultato – conclude il parlamentare ossolano – perché si vede attribuita una cifra quasi doppia di quella che gli sarebbe spettata sul semplice rapporto popolazione residente/popolazione totale”.

Riforma enti locali: avanti con decisione

trapani antonellaLa riforma che riguarda città metropolitane, province e unioni e fusioni dei comuni è una riforma semplice, ma soprattutto è reale. Nasce su alcuni principi base: condurre a due pilastri, regioni e comuni, le istituzioni locali a elezione diretta, dare il via alle città metropolitane attese da trent’anni, chiedere ai sindaci responsabilità che superino i campanili riorganizzandosi su aree vaste. Nello spirito della legge c’è, infatti, una profonda fiducia nella capacità delle comunità locali di pensarsi in un Paese unito, che sappia superare le difficoltà con coesione tra le comunità, che sappia vedere al di là di interessi specifici per abbracciare interessi collettivi: i comuni che si troveranno a lavorare insieme nelle province riformate o nelle unioni di comuni dovranno avere la capacità di pensarsi come attori dell’area vasta a cui appartengono. E’ un salto culturale al quale ci si prepara da decenni, di cui si sono scritte migliaia di parole. Adesso la legge c’è e continuare a discutere di come ognuno di noi la immaginasse più snella o migliore non ha molto senso. Adesso si deve passare ai fatti. Bisogna cogliere l’occasione che la riorganizzazione degli enti locali offre al territorio per mettere ordine fra le competenze e mostrare ai cittadini che la politica e gli amministratori si rimboccano le maniche per creare istituzioni efficienti ed efficaci. Altro punto stimolante è che per veder nascer tutto questo non bisognerà attendere anni ma prepararsi entro il 30 settembre: tre mesi d’intenso lavoro. L’obiettivo primario del riordino delle autonomie locali è dunque renderne trasparente l’assetto e più efficiente il loro funzionamento, in modo che siano chiare e riconoscibili ai cittadini le responsabilità delle singole amministrazioni e che queste possano svolgere al meglio i compiti loro affidati dalla Costituzione e dalla legge. Nel valutare la dimensione ottimale di associazione dei servizi, i sindaci dovrebbero porsi questa domanda: “Stiamo generando un sistema efficace per dare servizi pubblici? Stiamo attuando ogni iniziativa per semplificare la vita per imprese, famiglie e cittadini?”. Le istituzioni e la politica potranno riacquistare la fiducia del popolo italiano solo se contribuiranno a risolvere i problemi della vita quotidiana e non credo che questo si possa realizzare se si sfugge all’intento primario della riforma, se si dà origine a una frammentazione del territorio con unioni di comuni la cui dimensione si misura in appartenenza politica o salvaguardia di presunte “autonomie”. Invitiamo i sindaci a ridiscutere anche questo aspetto, per arrivare alla semplificazione del sistema non alla sua frammentazione. E’ il momento del coraggio, d’informare e sentire i propri cittadini anche su questioni che sembrano mettere in discussione le origini e le identità dei campanili, è il momento di verificare attraverso consultazioni popolari se le comunità locali sono disposte a modificare la dimensione del comune; il che non vuol dire perdere la propria storia, vuol dire iniziarne una nuova! Altro aspetto importante di discussione e caratterizzante la riforma è il superamento sostanziale delle province, e nella loro trasformazione in organi di secondo grado specificamente dedicati al coordinamento e supporto all’attività dei comuni. Le funzioni delle vecchie province sono attribuite in parte ai nuovi enti di area vasta, in parte alle regioni, con la relativa dotazione di risorse e personale. In attesa che il Parlamento affronti la modifica del Titolo V e la cancellazione delle provincie, la conseguenza più immediata è l’eliminazione di un livello politico e d’intermediazione amministrativa: i consigli provinciali e le nuove assemblee vengono, infatti, composti direttamente dai sindaci e dei consiglieri comunali dei comuni rappresentati. Sindaci e consiglieri per questo incarico non percepiscono compensi aggiuntivi. È il primo risparmio sensibile in un percorso che è anche orientato, come sta avvenendo in tutta la macchina pubblica, al recupero di risorse e al miglior utilizzo della spesa, ma che soprattutto vuole produrre semplificazione negli atti e nelle scelte, permettendo di dare risposte certe in tempi brevi riorganizzando i servizi. A questo proposito, di fondamentale importanza è la riorganizzazione territoriale degli enti periferici che deve avvenire come detto entro il 30 settembre. Si tratta di tracciare un percorso che garantisca la rappresentanza al territorio su due livelli. Un primo livello prettamente geografico: il nostro territorio tripolare portato avanti anche nell’esperienza della provincia del VCO deve trovare reale rappresentanza. Un secondo livello riguarda la dimensione demografica dei comuni: non si può pensare di rendere efficiente un sistema di coordinamento se non s’interpretano le diverse problematiche legate anche alle piccole realtà comunali. Bisogna garantire i piccoli e i grandi, dalla loro collaborazione effettiva si realizzerà lo spirito della riforma. Un ruolo fondamentale sarà quindi rivestito dai comuni, le cui funzioni amministrative, vecchie e nuove, rappresentano un elemento di forza e di coerenza con lo spirito costituzionale. Valorizzare le identità locali, attraverso la partecipazione in prima persona dei sindaci eletti, nelle scelte di programmazione dei territori, significa portare direttamente al cuore delle decisioni le istanze più concrete e reali delle comunità. Il processo di trasformazione a cui il Governo ha dato il via crea quindi le condizioni perché si possano ripensare i processi reali di funzionamento dei territori. Per questo, alle regioni sono stati volutamente lasciati ampi spazi per guidare i processi di riordino dell’assetto istituzionale o di ripensamento degli ambiti ottimali di gestione dei servizi, e per lo stesso motivo non si prevede più la coincidenza dell’organizzazione periferica dello Stato con il tessuto provinciale e si è data agli enti locali la possibilità di riconsiderare i distretti sociosanitari, le forme consortili tra comuni e tutti i livelli intermedi tra regioni e comuni. Dare vita concreta alla riforma, attuarne fino in fondo lo spirito potrà consentirci di rivendicare una specificità che la legge ci riconosce, la “montanità”, che rappresenta la nostra ostinazione a vivere in un territorio che richiede grandi costi di manutenzione e quindi una maggior efficienza a parità di risorse, dobbiamo dimostrare che abbiamo amministratori all’altezza di cogliere questa sfida. Antonella Trapani Segretario provinciale PD VCO

Simona Ruschetta nuovo segretario del circolo PD di Ghiffa-Oggebbio

simona ruchettaE’ Simona Ruschetta il nuovo segretario del circolo del Partito Democratico di Ghiffa-Oggebbio. E’ stata eletta all’unanimità nella riunione degli iscritti e simpatizzanti del PD di mercoledì 2 luglio al Circolo Arci Susellese; sostituisce Germano Cossalter che ha espresso il desiderio di passare il testimone. Quarantatre anni, casalinga, sposata con due figli, diplomata presso l’ITIS Cobianchi, Simona da sempre abita a Ghiffa. Presente nel PD da quando è nato si è sempre impegnata a mantenere viva la presenza del Circolo sul territorio, convinta dell’importanza di mantenere un filo conduttore tra la base e i vertici del partito ed ha partecipato attivamente al sostegno della lista “Insieme per Ghiffa” che ha portato all’elezione a Sindaco di Matteo Lanino. Suo primo impegno il rilancio del tesseramento 2014 al PD. Ufficio stampa Partito Democratico Coordinamento provinciale VCO

Il nuovo libro di Marco Travaglini “Voi personaggi austeri, militanti severi…”

libro travagliniS’intitola “ Voi personaggi austeri, militanti severi..”, parafrasando il testo di una nota canzone di Francesco Guccini, il nuovo libro di Marco Travaglini.
In ventisei racconti lungo le 128 pagine del libro lo scrittore-giornalista omegnese racconta le “storie dei compagni che sapevano ridere (anche di se stessi)”. Il volume, edito dalla torinese Impremix, è in libreria con la prefazione dell’ex ministro Livia Turco. Quasi tutte le storie del libro si svolgono in Piemonte, tra l’Ossola , le terre delle risaie e il biellese, il lago Maggiore quello d’Orta, con qualche puntata nella Lomellina pavese e sulla sponda “ magra” del Verbano.
Dalle lotte alla Cobianchi alle cene “elettorali” a base di polenta e coniglio in Valle Strona, dalle avventure di un comunista omegnese nei paesi della “bassa” vercellese a caccia dei voti dei monarchici alla “strana” bandiera che sventolò sulle “Settimane musicali” di Stresa, fino alle feste de l’Unità, queste storie – ricche di situazioni grottesche generate da malintesi- il più delle volte strappano sorrisi nel dar conto di una straordinaria ed articolata vicenda umana.
“Le storie che racconto sono manipolazioni di fatti in parte da me vissuti, o conosciuti direttamente e indirettamente”, dice l’autore. “ Ho utilizzato solo una parte di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria. Naturalmente, come insegnava Piero Chiara, quel che mancava a raggiungere l’effetto narrativo, l’ho aggiunto. Del resto, nessuna realtà è buona per sé”.
Apparentemente fatti “tutti d’un pezzo”, i “compagni” protagonisti di questi racconti dimostrano – a volte loro malgrado – di non esser privi d’ironia. Sorridono, ammiccando,dei malintesi e delle disavventure di questo o quel loro compagno. Sono vicende, trasmesse per lo più oralmente che, con il trascorrere del tempo, si sono arricchite, diventando sempre più grottesche e gustose, ‘allungandosi’ e ingigantendosi. Storie un po’ romanzate ma con un fondo di verità (con le opportune modifiche a nomi e cognomi ..) a dimostrazione della profonda umanità di quella comunità di uomini e donne che, all’ombra della stessa bandiera (rossa), hanno contribuito a fare la storia di un partito che è stato tanta parte della realtà locale e della società italiana.
Livia Turco, già ministro e autorevole esponente di quello che un tempo fu il Pci di Berlinguer, oggi Presidente della fondazione “Nilde Iotti”, nella sua prefazione scrive :“Personaggi austeri, militanti severi”, il bel libro scritto da Marco Travaglini, ci consente di fare un tuffo in una storia bellissima, di incontrare la comunità dei comunisti italiani. Per raccontarla sceglie il modo più autentico ed efficace. Racconta le persone in carne ed ossa, i loro contesti di vita, la loro quotidiana normalità…Questa umanità generosa avrebbe dovuto molto di più entrare nella narrazione e nella rappresentazione dell’Italia…Sono convinta che l’idea e la pratica della politica raccontata in queste pagine sia non solo moderna, ma necessaria…In questa nostra società, in questo nostro tempo, ciò che alimenta le passioni tristi è la solitudine, la fragilità delle relazioni umane. C’è bisogno di comunità e di compagnia…”.

Gli spari che cambiarono la storia: Sarajevo, cent’anni dopo

attentato-di-sarajevoIl 28 giugno di cent’anni fa, a Sarajevo, nei pressi del ponte Latino che attraversa, da una riva all’altra, la Miljacka, Gavrilo Principdiciannovenne studente e fervente nazionalista serbo – esplose i due colpi mortali che posero fine alla vita del principe Franz Ferdinand e di sua moglie  Sofia,innescando la scintilla che provocò, in breve, la prima guerra mondiale. L’evento che farà la storia del secolo si consumò in poco più di un’ora. Alle 11.30 il medico accertò la morte della coppia reale. I collegamenti telefonici con l’estero vennero sospesi, le campane di Sarajevo suonarono a morto, la voce si diffuse e l’esercito compì  centinaia di arresti. Nel tardo pomeriggio scattò lo stato d’assedio e le strade si svuotarono. Quando le prime stelle illuminarono il cielo notturno,  Sarajevo era già una città fantasma. E il mondo scivolava verso la catastrofe. La scelta del  28 giugno non fu casuale. Per gli ortodossi è il giorno del Vidovdan, quando si celebra San Vito. Per i serbi è festa nazionale. Ciò che accade dopo è tristemente noto. L’attentato fece esplodere le tensioni e , in breve, l’intera storia europea subì una frattura. L’assassinio dei reali fornì il pretesto all’Austria per regolare i conti con la Serbia,  eliminando alla radice la minaccia separatista che stava alla base delle rivendicazioni dei nazionalisti. Il gioco delle alleanze ( da una parte quella franco-russa e dall’altra quella austro-tedesca) disegnò in breve uno scenario che apparve subito agli occhi delle élites europee come l’annuncio di una catastrofe. Un mese dopo l’attentato tutto era compromesso : la Russia ordinava la mobilitazione del proprio esercito, la Germania dichiarava guerra alla Russia e alla Francia, convinta di potere avere la meglio, rapidamente, su entrambi i fronti. In breve, il vecchio continente  – e di seguito il mondo intero –  si trovarono invischiati nel fango delle trincee prima di contabilizzare lo spaventoso bilancio di un conflitto che vide impegnate ventotto nazioni divise in due grandi schieramenti (le Potenze alleate, con Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti, e gli Imperi Centrali con Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria), con milioni di morti, un disastro economico, sociale e culturale che spalancò le porte all’avvento dei regimi totalitari che insanguinarono il ’900.

Marco Travaglini

L’Ultimo sorriso di Berlinguer

enrico berlinguerRicordo il viso scavato, il corpo minuto. La velata malinconia dello sguardo , il timbro di una voce antica. Quella voce che proponeva con lucidità una visione del mondo nuova; la necessità di portarsi dietro tutti in scelte più avanzate, di cambiamento, dove impegnare i destini di un popolo che si diceva comunista, ma di un tipo del tutto originale, italiano e democratico, innervato nella Costituzione repubblicana.
Quell’uomo che sembrava così fragile, si chiamava Enrico Berlinguer. Gentile, riluttante, pacato, colto. Uomo di unità, affezionato alle speranze dei giovani, schivo ed inadatto alla leadership al punto che si dice stesse male prima di ogni incontro televisivo. Un uomo, come disse Alfredo Reichlin, che per conformazione fisica e psicologica “poteva fare il bibliotecario”, ma che si dimostrò un eccezionale ed insostituibile “capo di un popolo”.
Trent’anni fa, l’11 giugno del 1984, Enrico Berlinguer moriva. Gli fu fatale l’ultimo comizio tenuto qualche giorno prima a Padova in vista delle elezioni europee. La folla che lo salutò in occasione dei funerali per le strade del centro di Roma fu la testimonianza più evidente dell’amore che il popolo italiano provava per questo uomo gracile e forte allo stesso tempo, partito dalla Sardegna non per fare la “carriera politica” ma per “impegnarsi” nella politica.
Tra quei drammatici fotogrammi che accompagnano i suoi ultimi istanti in piazza della Frutta , ce n’è uno, quasi impercettibile a un osservatore poco attento: quello del suo ultimo sorriso alla folla, dopo aver pronunciato le sue ultime parole “..lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini”. Sta tutto in quel sorriso la bellezza di Berlinguer. La bellezza di occuparsi in maniera disinteressata degli altri. Di avere uno scopo nella vita che vada oltre se stessi. In quel sorriso è racchiuso un manifesto politico, troppo in fretta archiviato dopo la sua morte e troppo strumentalmente ritirato fuori per esigenze di propaganda.
Il sorriso di un uomo che è ancora tra noi perché le sue intuizioni politiche e culturali avevano scavato nel profondo della crisi italiana, ne avevano tirato fuori i nervi scoperti attraverso i quali si poteva vedere il futuro della nostra società e dell’Europa. Un uomo, fatto passare per un conservatore, che sapeva leggere con visionaria lucidità il cambiamento in corso, cercando di proporre una via d’uscita democratica, non populista. Berlinguer riuscì ad affrontare un tema ostico e da molti mal digerito come l’austerità che non aveva nulla a che vedere con le ricette neoliberiste e monetarie ma con l’idea di affrontare il tema dei consumi e della produzione all’interno di una società più giusta, sobria, solidale, democratica, attraverso una migliore distribuzione dei redditi ed una condivisa responsabilità tra le classi che esistevano (ed esistono..) ancora. Un discorso che affascinò il cattolicesimo progressista e che confermò quella diversità dei comunisti italiani che si fondava non certo sulla purezza ideologica, ma sull’appartenenza ad una comunità e ad un’idea della politica basata su una visione morale ( ..non moralista), intesa come servizio, studio, avanzamento e lotta democratica. Si dirà che il mondo è cambiato, è più veloce, ha altre esigenze, e noi abbiamo commesso tanti errori lungo il nostro cammino. Nulla può essere più vero. Gi stessi che sostengono questo, tante volte, argomentano di come il nostro paese sia cambiato in peggio, per la crisi, per lo spazio esiguo che hanno le giovani generazioni, per l’assenza di futuro. Forse è cambiato in peggio anche perché invece di contrastare alcune derive le abbiamo assecondate, perché siamo stati troppo indulgenti nello sposare parole d’ordine, modi di essere, ideologie che non appartengono ad una parte che si propone di essere la parte dei più deboli; perché così tanto impegnati a ricercare il futuro abbiamo pensato, più volte in questi anni, di trovarlo gettando via le lezioni del passato. Ecco perché, senza nostalgie ma con il senso dell’attualità, riemerge potente l’insegnamento di Berlinguer. Perché non basta un tweet per “riempire la propria vita”, ma occorre riscoprire il pensiero lungo, quello che invita a guardare al mondo con realismo e creatività, innovazione e obiettivi proiettati nel futuro. Questo “pensiero lungo”, che non è ideologia arrugginita né fuga dalla realtà, manca molto alla politica di oggi. E Berlinguer questo “pensiero lungo” lo cercava nelle suggestioni che arrivavano dall’ambientalismo, dal pacifismo, dai movimenti delle donne. Con il sorriso di chi diceva “ Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”. Parole dette con il suo sorriso, dolce e determinato, da Enrico Berlinguer.

Marco Travaglini